Cinque criteri per imparare a morire bene |
Carlo Molari, nell’incontro della Comunità di via Germanasca a Botta il 19 settembre 2004, ha detto alcune belle cose su come possiamo imparare a morire imparando a vivere, e viceversa. Sono istruzioni importanti (qui riassunte in estrema sintesi), perché, tra tutti noi, chi fa una cosa, chi ne fa un’altra, ma tutti sicuramente moriremo. Non pensarci è abbastanza stupido. È bene pensarci serenamente, senza paura. (e. p.) 1. Diventare pienamente noi stessi. La nostra identità personale è in continuo divenire, verso il compimento. La morte ci chiede: chi sei diventato? che nome hai? Quello che abbiamo fatto, le nostre azioni, scompaiono. Noi siamo diventati questo o quello, secondo quale valore abbiamo accolto. 2. Distaccarci. Imparare il distacco radicale dalle cose. Noi viviamo intensamente quando siamo distaccati dalle idolatrie, attaccati al vero e all’essenziale. 3. Amare. Interiorizzare le persone senza possederle, senza trascinarle con noi. Il bambino ama davvero i genitori quando li interiorizza, e dunque può stare anche senza di loro. La morte è andare, pieni di presenze, senza condurle con noi. 4. Arrivare all’amore oblativo. La morte è un amore oblativo, tutto offerta e dono. È il dono anche del nostro corpo. È la consegna di tutto me stesso alla storia degli altri. Nel cammino della vita, ci è chiesto sempre di più, per imparare questo amore. 5. Avere fiducia. Fidarci così tanto della vita, da saperla anche perdere, fidarci così tanto di Dio, da abbandonarci a lui, e in questo modo raggiungere la qualità nuova che non si può avere prima di questa pienezza di fiducia. Tutto ciò che teniamo per noi, lo perdiamo. Noi siamo ciò che doniamo. «Diminuire consentendo. Consentire con animo sereno. Distacco appassionato» (Teilhard de Chardin, riferito da don Michele Do). |