Editoriale
 

L’Italia ha bisogno di verità e riconciliazione. L’odio tra le parti opposte, già vergognoso, diventa pericoloso. Solo una comune base minima di verità sui fatti e di intesa sulle regole libera dall’odio.

Un’accusa molto grave – corruzione dei giudici – per un uomo con le maggiori responsabilità di governo si è risolta, per ora, con la prescrizione. A una decente vita civile importa di più la qualità morale di una persona, specialmente se le sono affidate gravi responsabilità pubbliche, che una sentenza giudiziaria, formulata sulla stretta verità processuale. Quella prescrizione è scattata soltanto grazie alla determinante concessione delle attenuanti generiche. Ora, le attenuanti vengono date dal giudice a chi è colpevole. Chi risulta innocente non ne ha bisogno. L’imputato eccellente, dunque, risulta avere commesso il fatto, ma è stato «condonato». Non è assolto come se non avesse commesso il fatto. Importa più il fatto che la condanna.

Secondo una migliore giustizia, «il grado di impunità [o di attenuanti] deve aumentare non quando si sale nella scala sociale, ma quando si scende» (Simone Weil, La prima radice). Il giudice delicato col potente spinge il debole alla disperazione (sempre cattiva consigliera) verso la giustizia, oppure al servilismo corrotto, perdita di quella dignità che è la ricchezza dei poveri e dei semplici. Il formalismo estremo (al di là del garantismo) della giustizia processuale mina la convivenza civile, che ha per condizione necessaria il rispetto di ciò che spetta in primo luogo a chi non ha la forza per farsi valere. Se il potente è intoccabile, la giustizia è distrutta, e con essa il senso umano della società. E tutti i pericoli immaginabili incombono. Nel processo gli avvocati hanno avvertito i giudici: «Se lo condannate cambiate la storia». Che significa? Che un capo di governo è intoccabile? Ci rendiamo conto del pericolo?

Quell’accusato ora può dirsi innocente solo manipolando il senso intero della prima sentenza. Egli non riceve una condanna penale, ma riceve una condanna morale, se la società è resa capace di giudicare da un’informazione onesta. Il grande pericolo è che la manipolazione della verità, fino a stravolgere il significato delle parole, da parte dei potenti, ottunda proprio questa capacità essenziale alla vita della polis. La falsificazione del linguaggio è una perversione civile, che svuota i diritti elementari, riducendo il diritto alla forza. La speranza è che il sano sentimento primario dell’ingiustizia, senso costitutivo dell’umanità, promuova una costruttiva domanda di giustizia.

Dal processo risulta che l’imputato, quando era privato cittadino, corruppe i giudici. Peggio, da padrone della maggioranza e principale governante, ha corrotto numerose leggi a proprio favore, e tenta di corrompere la Costituzione nello stesso senso. Il senso della legge è di essere la forza pubblica posta a riequilibrare le differenti forze dei privati: è la tutela del debole, non la conferma del forte. Le leggi sono da osservare e tenere in onore quando sono giuste, cioè quando sono la forza del debole, e sono da cambiare quando invece non sono giuste, cioè quando sanzionano il sopruso del forte (cfr Lorenzo Milani, L’obbedienza non è più una virtù, Lettera ai giudici, Libreria Editrice Fiorentina, senza data, pp. 37-38).

E tuttavia l’accusato rimane in quella carica di primaria responsabilità pubblica, che esige tutta la correttezza necessaria a una fiducia morale e umana indispensabile, anche nella divergenza politica. Chi esercita il maggiore potere statale non può senza grave danno civile screditare lo stato, esaltare la libertà di possesso contro la solidarietà istituzionale (mediante l’ideologia anti-fiscale e il localismo dei beni e dei diritti), non può partecipare a una guerra condannata dal sentimento popolare, non può appropriarsi della cosa pubblica, cioè privatizzare la res publica, non può accumulare tutti i poteri (contro l’abc dello stato di diritto), fino a piegare a misura del proprio utile il sistema giudiziario, costringendo il Presidente della Repubblica a difenderlo.

Ogni condanna e ogni pena dispiace sempre, perché è una sconfitta per tutti. Chi ha sbagliato, fosse anche il peggiore criminale, può tornare all’onestà e deve essere riammesso alla vita sociale corretta e positiva. La riconciliazione deve sempre essere cercata con chi ha offeso regole di vita sociale e diritti delle persone. Ma la base della riconciliazione è la verità dei fatti, che deve essere riconosciuta per potere riparare l’offesa, ristabilire fiducia e rispetto, e ricostruire il rapporto umano e sociale violato dal reato.

[ ]

[ Indice] [ Archivio ] [ Pagina principale ]