NATURA E UMANITÀ |
L’anno nuovo nel segno dello tsunami |
Questo articolo è tratto (con i tagli segnalati) dalla Pressinfo n. 206, del 30 dicembre 2004, della TFF (...) Le proporzioni inconcepibili della tragedia umana in Asia ci offrono l’occasione più seria da decenni a questa parte per riflettere profondamente e pietosamente sul nostro modo di agire, su quello che facciamo e sulle priorità che stabiliamo sulla nostra Terra comune. Se, invece della sicurezza militare, il nostro paradigma principale fosse stato la sicurezza umana, è probabile che non avremmo assistito a nulla di simile a questo grado di morte e di distruzione. Se i governi avessero potuto disporre di un’analisi ragionevolmente obiettiva di ciò che minaccia non solo i loro propri paesi, ma il genere umano e la Terra intera, e si fossero preparati in vista di questo pericolo, l’opera di soccorso sarebbe stata predisposta assai meglio. Se la politica e l’economia si occupassero degli esseri umani e del loro benessere, e non del potere e del profitto, una maggiore quantità di persone sarebbero ancora vive oggi. (...) La sicurezza umana come alternativa alla sicurezza militare Le potenze grandi e opulente sono pronte a combattere qualsiasi guerra, comprese quelle nucleari, con pochi minuti di preavviso. Ma non c’è stato nessun preavviso per la povera gente dell’Asia, nessun pensiero per la loro sicurezza umana. Sentiamo parlare di interventi umanitari e del “bisogno” di soldati che ci aiutino o aiutino altri ad uscire da catastrofi umanitarie. Ma la maggior parte dei governi non sembrano avere la minima idea del modo in cui fronteggiare qualcosa di simile a questo tsunami né, tanto meno, di venire a capo delle sue conseguenze. Mentre il mondo, e gli Stati Uniti in particolare, spendono somme fantastiche per «combattere il terrorismo» – che non è mai stato un grande problema in termini di perdite umane –, e non fanno che produrre, così facendo, una quantità maggiore di terrorismo, non rivolgono alcuna seria attenzione al problema della povertà e a quello della sicurezza ambientale. Spendono le scarse (cioè preziose) risorse per gli armamenti e riducono i bilanci del “welfare” nazionale solo per favorire o per compiacere i «complessi militar-industriali» e senza curarsi minimamente dei bisogni umani che si manifestano altrove (e cioè in altri campi della vita sociale o in altri paesi). Non c’è nulla di simile alla «sicurezza umana» di cui abbiamo parlato in nessun luogo sulla terra. E perché? A causa del nostro paradigma di sicurezza militare che reca l’impronta del dominio maschile. A causa delle nostre priorità totalmente sbagliate. A causa dei nostri cicli elettorali disperatamente quadriennali che rendono impossibile ogni tentativo di pensare in grande e a lungo termine intorno al futuro della Terra. Perché non ci sono diritti umani di cui si tenga il minimo conto per i poveri né per le generazioni future. Compassione e disposizione ad aiutare Tutto ciò è profondamente commovente. Non c’è dubbio che la compassione umana, la capacità di immedesimazione e l’amore siano tra le forze più potenti che operano sulla Terra – sempre che si permetta loro di fluire liberamente. E questa condizione, di regola, non è, purtroppo, presente. Uno tsunami al giorno – e pochi se ne preoccupano Ma aspettate un momento! La compassione fluisce liberamente solo quando è diretta a una sofferenza che non è prodotta da cause politiche. Se essa ha a che fare con l’economia o con la politica, ciò non si verifica più. Circa il 50 per cento delle persone che vivono sulla Terra – circa 3 miliardi – vivono ancora con meno di due dollari al giorno (mentre 300.000 americani muoiono ogni anno perché mangiano troppo o perché mangiano cibo di cattiva qualità). A livello mondiale, fra 60.000 e 100.000 persone muoiono ogni giorno a causa della povertà, di malattie potenzialmente curabili, di Aids, di mancanza di cibo o di acqua pulita, di riparo o di abiti, di medicine o di educazione. Nel momento in cui scriviamo, questa cifra è quasi pari a quella dei morti vittime dello tsunami (120.000!). Le persone innocenti che muoiono in occasione di catastrofi naturali toccano i nostri cuori. Quelle che muoiono, ugualmente innocenti, a causa del capitalismo globale, dei giochi di potere, delle guerre e dell’iperconsumo (o dello spreco) militare, non toccano i nostri cuori. Perché? Probabilmente perché sappiamo, nel profondo del nostro essere, che muoiono per colpa nostra, a causa dei privilegiati, dei ricchi, della loro avidità, della loro autoprotezione mentale e dei loro svaghi. Essi muoiono perché debbono morire – altrimenti tutti gli altri, tutto il resto di noi, non potrebbero nuotare nel denaro, nel materialismo e nel militarismo. (...) Anche le guerre non toccano i nostri cuori allo stesso modo Non molto tempo fa, la rivista inglese più rispettabile, «The Lancet», ha pubblicato uno studio che dimostrava che circa 100.000 iracheni sono morti dall’invasione e dall’occupazione del paese. Prima di allora, le organizzazioni delle Nazioni Unite avevano calcolato che le sanzioni contro il popolo iracheno – la metà del quale è composta da ragazzi e ragazzi al di sotto dei 16 anni – sono costate da 500.000 a un milione di vite di cittadini di questo paese. Tutto ciò non ha attirato neppure la metà dell’attenzione rivolta ora agli effetti dello tsunami. Non è sconcertante pensare che prestiamo un’attenzione molto minore ai disastri combinati dall’uomo e manifestiamo una compassione molto minore per i loro effetti – quando, in realtà, essi dovrebbero suscitare una quantità maggiore sia dell’una che dell’altra dal momento che sono quelli che potremmo evitare o modificare essendo noi stessi che li causiamo? Il sistema bellico, inoltre, distrae somme inimmaginabili dall’aiuto che dovremmo portare ai dannati della terra; i governi di tutto il mondo spendono attualmente una somma molto vicina a mille miliardi di dollari all’anno per la produzione di armamenti. La guerra in Iraq costa, ai soli Stati Uniti, un miliardo di dollari la settimana. Un sistema di allarme contro gli tsunami, come quello messo in opera dal Giappone, costerebbe, a quanto sembra, circa 20 milioni di dollari. Virgil Hawkins, nella sua tesi di dottorato recensita in altro luogo di questo sito, ci dice quanto segue a proposito delle guerre recenti. L’89 % dei morti in guerra negli anni ’90 sono stati registrati in Africa, il 5 % in Europa, il 4 % in Asia, l’1 % nel Medio Oriente e l’1 % nelle Americhe. Più di 5 milioni di persone sono morte nelle guerre combattute in Africa, di cui 1.300.000 nella Repubblica Democratica del Congo e 1.100.000 nel Sudan soltanto. Dice Hawkins: «Conflitti costantemente presentati nei media come fatti di grande importanza, come quello che ha avuto luogo nel Kossovo (da 8 a 9.000 decessi, 2.000 dei quali hanno avuto luogo prima che avessero inizio i bombardamenti della Nato), fra Israele e la Palestina (2.710 decessi), a Timor Est (1.000 decessi), l’Irlanda settentrionale (meno di 400), sono stati di fatto, relativamente parlando, molto più esigui nei loro effetti». Chi si è preoccupato realmente delle vere, grandi perdite di vite umane che hanno avuto luogo in questo periodo? I media e gli uomini politici del mondo occidentale, quanto meno, non lo hanno fatto. Denaro e follia I notiziari riportano che i maggiori esperti di meteorologia della Thailandia erano in riunione il mattino dello tsunami. Essi non diffusero un allarme sull’arrivo imminente dello tsunami perché – se avessero sbagliato – temevano che il governo li avrebbe licenziati e avrebbe chiuso il loro istituto. Perché? Perché il turismo è la fonte di reddito più importante per la Thailandia. Uno può scegliere di biasimarli, oppure può dire: «Così grande è il potere del denaro!». Questa era l’immagine implicita della dirigenza thailandese, che ha speso somme ingenti nella «lotta contro i musulmani» nella parte meridionale del paese e per ucciderli in nome della guerra contro il terrorismo. Essa ignorava completamente la questione della sicurezza umana come pure di quella ambientale. Nello stesso modo si sono comportati i governi dell’Indonesia e dello Sri Lanka, che hanno dilapidato anch’essi così a lungo le loro risorse in diverse guerre, grandemente aiutati, in questo, dai trafficanti di armamenti di tutto il mondo. Quale vita migliore sarebbe stata quella che la povera gente di questi paesi ora colpiti, per giunta, da questa catastrofe – avrebbe potuto condurre se i loro governi avessero operato sulla base di valori più umani e meno mascolino-militaristici! Speranze, nonostante tutto Lo tsunami è una tragedia umana che supera i confini della nostra comprensione. Ma è anche un segnale d’allarme e un monito urgente per noi tutti. L’una accanto all’altra, e dandosi per così dire la mano, la sicurezza umana e la sicurezza ambientale devono prendere ora il posto della sicurezza militare. Abbiamo bisogno di un set completamente diverso di priorità e di un’etica globale della premura nei confronti degli esseri umani, per non dire, anzi, che è di questo che dovrebbe occuparsi, in primo luogo, la cosiddetta globalizzazione. (...) Jan Oberg, Gudrun Schyman e Christina Spännar |