BHOPAL |
Quando il profitto gronda sangue |
La notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 esplode a Bhopal (capitale dello stato del Mandhya Pradesh, India centrale) uno dei serbatoi della fabbrica di pesticidi di proprietà della Union Carbide India Ldt e su un’area di 20 chilometri quadrati si riversano più di 40 tonnellate di isocianato di metile, acido cianidrico e altri gas mortali, componenti del pesticida Sevin, posto in vendita con l’avvertenza «pericolo mortale in caso di inalazione». L’odore acre sveglia la popolazione che tenta disperatamente di fuggire: la nube tossica provoca, nei primi tre giorni dall’esplosione, la morte di 7-10 mila persone. Amnesty International stima che il conto finale dei morti sia stato di 21 mila e che i «gas affected people», malati cronici o persone che in qualche modo colpite dalla tragedia, superino i 500mila; Greenpeace afferma che quella notte il sistema di sicurezza non era in funzione, perché in riparazione e, nel timore che la comunità vicina fosse «irragionevolmente allertata», le sirene dell’impianto erano state spente. Il «Corriere della Sera» (2 dicembre 2004) riporta il racconto dei sopravvissuti: «Non erano cocciniglie e pidocchi a contorcersi nell’erba e nell’asfissia. Donne, uomini, bambini soffocavano nel loro sangue e nel loro vomito, bruciavano senza fuoco. Minuti, ore, giorni, mesi, anni: l’agonia si rivelò di proporzioni variabili». Nel 2001 la Dow Chemical Co (produttrice del famigerato agente arancio*) acquista per 10 miliardi di dollari la Union Carbide e, a oggi, in un rimbalzo di responsabilità, nessuno ha ancora decontaminato la zona del disastro; Paul Vickers, inviato della Bbc, ha recentemente analizzato l’acqua dei pozzi del paese, riscontrando livelli di inquinamento da mercurio e piombo (presente anche nel latte materno) 500 volte superiori al limite massimo consentito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La Dow Chemical Co sostiene di non avere responsabilità affermando di non aver acquisito, nella fusione con Union Carbide, lo stabilimento di Bhopal, e dichiarando che il sito sarebbe invece attualmente sotto la custodia del governo indiano, e ha denunciato i sopravvissuti e Greenpeace che manifestavano per chiederle di subentrare alla Union Carbide India Ltd nella bonifica. Documenti ufficiali ritrovati tra le carte della Union Carbide e firmati nel 1973 dal suo allora presidente Warren Anderson, che oggi vive tranquillo e libero tra le sue case di Bridgehampton e Manhattan (New York) e di Velo Beach (Florida), dichiarano che «la tecnologia utilizzata per gli impianti non è ancora testata»; sono note, inoltre, le insistenze di Anderson per ridurre i costi di produzione (anche attraverso il taglio dei costi dell’impianto di refrigerazione, con un risparmio di 45 euro al giorno); infine un rapporto interno del 1982 (due anni prima del disastro di Bhopal) mette in guardia sul pericolo di una possibile emissione di gas pesticidi. Nel 1992 (dopo otto anni dal disastro) la Corte di Giustizia di Bhopal spicca un mandato di arresto nei confronti di Anderson e solo l’anno passato ne chiede agli Stati Uniti (con i quali c’è un rapporto di reciprocità che lo consente) l’estradizione per «omicidio colposo», che le autorità americane hanno rifiutato per vizio di forma, mentre le multinazionali “sorelle” della Union Carbide e della Dow Chemical Co fanno pressione perché l’accusa venga ridotta a «negligenza». Nel 1989 la Union Carbide ha pagato allo stato indiano, a seguito di un accordo extragiudiziale con l’Alta Corte Indiana, 470 milioni di dollari su una stima fantasiosa di 3.000 morti, stima che corrisponde circa a un settimo di quella ormai ufficialmente accettata. Di questi risarcimenti le famiglie hanno ricevuto solo 2.200 dollari per ogni parente morto, mentre stati distribuiti ai vivi, una tantum tra il 1994 e il 1995, circa 400 dollari. A proposito del risarcimento, la portavoce della Dow, Kathy Hunt nel luglio del 2002, afferma che “500 dollari sono più che sufficienti per un indiano”. Una recente ennesima sentenza della Corte suprema indiana ha ingiunto al Governo Indiano di distribuire finalmente tra le vittime ufficiali il resto dei soldi versati dalla Union Carbide. Con il ricavato della vendita delle azioni della Union Carbide India Ltd è stata inoltre costruita una clinica specializzata nelle cure dei danni conseguenti all’incidente: peccato che si tratti di clinica privata con cure a pagamento. A dicembre del 2002 la Dow promette finalmente di rendere nota la composizione del gas diffuso 18 anni prima dall’esplosione del serbatoio, considerata in precedenza dalla compagnia segreto commerciale: l’informazione potrebbe aiutare i medici nelle cure dei 50.000 malati cronici sopravvissuti all’incidente. Commenta Dominique Lapierre, che con Javier Moro ha scritto il libro Mezzanotte e cinque a Bhopal e che con i proventi dei diritti d’autore sostiene la fornitura di acqua potabile agli abitanti delle aree più inquinate della regione: «In un momento in cui l’India sta facendo del suo meglio per invogliare le maggiori corporazioni internazionali a investire sul suo territorio, è estremamente improbabile che essa voglia mettersi contro un gigante come la Dow Chemicals». La Bbc World, il 2 dicembre scorso, annuncia che la Dow avrebbe riconosciuto la propria responsabilità per quanto accaduto, e approvato un piano di risarcimento delle vittime, notizia però smentita nel giro di un paio d’ore. Per andare a scoprire qualcosa degli attori di questa tragedia ricordo solo un paio di notizie:che la Dow Poliuretani, una branca della Dow Chemical Co, è la responsabile dell’incendio di Porto Marghera del 28 novembre 2002, di cui non ha ancora pagato il conto. Inoltre sempre la Dow è produttrice del Nemagon, o fumazone, o dibromo-cloro-propano, un pesticida fertilizzante usato in passato nelle piantagioni di banane, che causa sterilità, cancro, malformazioni alla nascita e malattie degenerative; e, per questo motivo, la stessa Dow è implicata in un processo in Nicaragua per la morte di 770 contadini delle piantagioni, e neppure qui ha ancora pagato il conto (febbraio 2004). «La scienza aiuta a costruire una nuova India», annunciava una pubblicità della Union Carbide negli anni ’60: un’India, al pari di molti altri paesi del Terzo Mondo, del lavoro e non dei diritti. Il trasferimento delle tecnologie in paesi in cui le garanzie sono minori, e quindi minori i costi di produzione, permette un aumento dei profitti, ovviamente al prezzo di vite altrui. Paola Merlo *Agente arancio: defoliante prodotto sotto contratto per l’esercito americano, oltre che da Dow Chemical Co, anche da: Diamond Shamrock, Hercules, Monsanto, T-H Agricultural & Nutrition, Thompson Chemicals, e Uniroyal; composto in gran parte della forma più pericolosa di diossina, la quale causa cancro, disfunzioni del sistema immunitario e malformazioni alla nascita; ancora oggi presente in molti cibi vietnamiti; i militari americani tra il 1965 e il 1973 sparsero 20 milioni di litri di questo agente arancio sulle foreste tropicali del Vietnam, irrorando 3.181 villaggi e tra i 2,1 e i 4,8 milioni di persone, nell’estremo tentativo di portare allo scoperto i vietcong nascosti nelle foreste. http://www.agenziadistampa.org/etica/bhopal087.html http://www.carmillaonline.com/archives/2004/09/000963.html http://web.amnesty.org/pages/ec-bhopal-eng http://library.amnesty.it/it_news.nsf/ http://www.greenpeace.it/bhopal/ http://www.rsinews.it/newsformat1.asp?news=500 http://www.zabrinskypoint.org/Bhopal.html http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Marzo-2002/0203lm05.01.html http://www.ansa.it/main/notizie/rubriche/specialied/20041130184533176708.html |