LIBERE RIFLESSIONI SUL CRISTO IN CROCE / 2 |
Con e al cospetto di Dio viviamo senza Dio |
Pressing e fuorigioco Paradossalmente avvertono questo disagio, almeno inconsciamente, anche coloro che perseverano razionalmente nella tesi che Dio intervenga materialmente nel mondo. Pur proclamando le presunte azioni energetiche di Dio ad extra, vuoi di tipo naturale che soprannaturale (ispirandosi alle scenografie sinottiche della post-crocifissione, dal terremoto, al buio, e all’apertura dei sepolcri), di fatto Dio e il suo regno sono saldamente catturati nella sfera del sacro, facendo sparire qualsiasi eventuale ferita nella continuità tra il passato e il presente. Il ritorno al sacro non è una novità (è in atto da almeno 20-30 anni), ma ciò che è relativamente recente e nuovo è la ribalta pubblica della religione in tutti i continenti, è la religione sacrale presente in modo massiccio sulla scena collettiva e mediatica (da Bush all’Islam, dall’Europa all’Asia). Quasi a dire: «Siamo noi a tradurre il Regno nel nostro impianto sacrale, e con l’invasione, fondamentalista o collateralista, dei sistemi politici e legislativi ». Il rapporto tra Dio e l’uomo è pensato come interazione diretta, quasi che Dio possa parlare ai comuni mortali (si usano addirittura le esperienze mistiche del passato per conoscere dettagli della vita di Gesù non narrati nei vangeli, come Gibson ha fatto per la passione e come certe trasmissioni televisive natalizie hanno fatto per la nascita e l’infanzia di Gesù), nell’ambito di una comunicazione immediata (visioni e apparizioni) in cui lo pseudo-messaggio è tanto chiaro verbalmente quanto evanescente, insignificante e ripetitivo nella sostanza. Purtroppo le previsioni di Bonhöffer non si sono avverate: le grandi parole della fede non sono risuonate di nuovo e in modo nuovo; non solo non c’è stato l’avvento del cristianesimo non-religioso, ma è addirittura aumentata la religione sacrale, pubblica, mediatica, nonché oggetto di rivendicazioni identitarie (come quelle leghiste). Certi temi, riti, celebrazioni natalizie trattengono teatralmente ma non insegnano, e non proclamano più una vera salvezza liberante. Qualsiasi presa di distanza rispetto al passato (ad es. nei confronti di Pio IX) viene rigidamente coperta in una continuità monolitica. Se ci è consentito un paragone di tipo calcistico, l’avanzata in blocco della linea difensiva, senza Dio difensiva, con un pressing asfissiante sugli avversari, cerca di mettere continuamente in fuorigioco non solo l’ateismo o le altre religioni, ma qualsiasi forma di demitizzazione e di secolarizzazione anche cristiane, come pure la dimensione di laicità della fede stessa; e così, almeno in Italia, i cosiddetti “laici” continuano ad essere gli atei, gli agnostici e i non-credenti. Dio cacciato dal mondo? È sintomatico che, ad es. nella terza edizione del Dizionario di Filosofia dell’Abbagnano-Fornero (Utet 2001, p. 95), l’ateismo venga definito come la negazione della causalità specifica di Dio nel mondo, a prescindere dal riconoscimento o meno dell’esistenza divina, quindi anche per chi ne riconosce l’esistenza; a mio parere questa forma di «a-teismo» (come negazione ed opposizione al teismo) è compatibile con la fede cristiana. Lo spirito tuttavia colma questa distanza, che non è assenza ma presenza sofferta e crocifissa: in riferimento a Bonhöffer si tratterebbe della cosiddetta «seconda onnipotenza», la quale però si risolve nel suo contrario: la debolezza del crocefisso è la debolezza di Dio tout court. «Vor und mit Gott leben wir ohne Gott » («Con e al cospetto di Dio viviamo senza Dio»). L’ohne Gott, il «senza Dio», ad es. l’incapacità di Dio di intervenire a salvare le vittime del recente tsunami in Asia, viene colmato e superato spiritualmente nel «con e al cospetto di Dio». È un superamento (aufhebung) della ferita, che si è sì rimarginata ma conserva indelebilmente tutte le cicatrici. Il Regno è comunque totalmente affidato alle mani degli uomini e dei discepoli, secondo la prospettiva del classico canto religioso: «Dio non ha mani, ha soltanto le nostre mani, non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi...», in cui l’elemento metaforico viene ridotto al minimo. Il Regno quindi non subentra per forza propria, contro tutti i millenarismi storici che presuppongono una data già predeterminata per l’evento finale o semi-finale del Regno stesso. Per noi oggi non è più rilevante la questione, qualora sia intesa “ingenuamente” in senso strettamente cronologico, se per Gesù il Regno fosse esclusivamente o prevalentemente futuro (vicino, prossimo, imminente, come afferma la cosiddetta «escatologia conseguente»), o già presente (già venuto, dentro di voi, fra di voi, come afferma la cosiddetta «escatologia realizzata»). Sono stati scritti i proverbiali fiumi di inchiostro su questa tensione fra il «già» e il «non ancora» (che non è comunque una spiegazione, ma solo una vaga descrizione), la quale però può servire solo per gettare un po’ di luce su quel che può avere pensato Gesù. Per noi oggi la questione è a mio parere obsoleta e superata, per due motivi: primo perché ha trovato un certo superamento in Gesù stesso, che nella passione si è in parte ricreduto, con una certa discontinuità rispetto a quello che credeva e pensava prima. Per Gesù la croce segna l’interruzione del Regno di Dio con potenza, che non viene più per esclusiva forza propria e senza l’agire dell’uomo (gli esegeti che affermano che il Regno viene prescindendo quasi completamente dall’agire umano, hanno probabilmente ragione se si riferiscono ai discorsi di Gesù in Galilea, ma Gesù a nostro parere «ha cambiato idea»): l’angoscia del Getsemani e della passione consiste anche nella presa di coscienza dell’estrema vulnerabilità del Regno stesso che, come già detto, viene a dipendere dalla libera accettazione degli uomini (secondo motivo). L’assenza conturbante di Dio Secondo invece una terza prospettiva (abbozzata da Ugo Perone al convegno di Milano della rivista «Filosofia e teologia»), la cesura si fa più radicale, le interruzioni e le discontinuità rispetto al passato e forse rispetto a Gesù stesso non solo non vengono coperte ma messe a nudo; il «senza Dio» e l’assenza di Dio si radicalizzano, come nella morte di un congiunto, la cui assenza diventa col passar del tempo sempre più corposa e pesante. L’assenza naturalmente non è il «nulla», per cui Dio non viene liquidato; ma non si tratta più di un superamento (aufhebung), bensì di un scioglimento (auflösung), di una rottura insanabile col passato (la ferita è aperta e continua a grondare sangue). Non è più solo la potenza di Dio che si scioglie (come nella seconda prospettiva), ma la stessa presenza spirituale e salvifica di Dio. Certo dall’esperienza dell’assenza, del nascondimento e della morte di Dio si possono liberare delle nuove e impensate possibilità, delle indicazioni per un “altro” credere; dallo scioglimento nasce una ri-soluzione, sia nel senso di risolvere che di una nuova soluzione per altri cammini, sensazioni, suggestioni, e spiritualità più sofferte senza alcun ancoraggio certo a determinati fondamenti o assoluti. L’assoluto si scioglie in ri-soluzioni relative col carattere del frammento e della fiaccola. Si tratta di un nuovo inizio; non ci si reinstalla sull’origine, nell’origine. O forse l’unico possibile aggancio con l’originario è la prospettiva di Marco, secondo il quale al momento della crocifissione c’è solo il buio (senza il terremoto, lo spaccarsi delle pietre e l’apertura delle tombe, come invece avviene in Matteo), e soprattutto nella conclusione originaria del suo Vangelo con le donne che fuggono dal sepolcro vuoto per lo spavento e non dicono niente a nessuno. L’assenza di Dio, come pure la sua cacciata dal mondo, sono determinate in modo particolare dalla violenza; «il Regno soffre violenza ed i violenti lo saccheggiano» (Mt 11,12): se nel mondo regna la violenza, non regna appunto Dio. In analogia con la meccanica quantistica, il Regno traspare timidamente, come nelle particelle sub-atomiche sottoposte all’indeterminazione di Heisenberg, nei frammenti di giustizia, pace e solidarietà, come pure nelle fiaccole dell’amicizia vera e nella potenzialità della coppia, là dove un uomo ed una donna si amano, di simbolizzare sacramentalmente l’amore di Dio. Come due fotoni gemelli nello stato quantistico «intrecciato», in cui in maniera perfettamente correlata entrambi rispondono «sì» oppure «no» al test di polarizzazione anche se distanti anniluce fra loro (paradosso Epr, dalle iniziali di Einstein, Podolski e Rosen), così al «sì» o «no» dell’uomo corrisponde rispettivamente il «sì» o «no» del Regno, anche con un Dio «non locale» e temporaneamente assente, che però può trovarsi in sincronismo Epr con l’universo e con la Terra. Mauro Pedrazzoli |