Un presepio in terra musulmana


Mentre in Italia il presepio era oggetto di speculazioni più o meno intellettuali (se n’è discusso a «Porta a porta» di Bruno Vespa, al tg di Emilio Fede e, persino, al telegiornale della Lega Nord), a Tunisi, capitale di una nazione islamica, era aperta al pubblico (ingresso libero) la mostra: «Presepio d’Italia e del mondo», organizzata dal Vescovo di Tunisi, la Sezione Culturale dell’Ambasciata d’Italia in collaborazione con l’«Associazione Amici del Presepio» presso la Cattedrale della città (orario messe: giorni feriali 18.30 – giorni festivi 9 e 11.30). Allo zelo di qualche presunto «laico fondamentalista» in patria cristiana si contrapponeva, senza alcun motivo di scandalo, né tanto meno di conflitto, la celebrazione di una millenaria tradizione religiosa della nascita di Cristo in terra musulmana. Il mondo va così. A volte.

Io ricordo che tanti anni fa l’angelo che veniva normalmente collocato sul tetto della capanna, reggeva una scritta: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli. Pace in terra agli uomini di buona volontà». Ora, a ben pensarci, io, cristiano per cultura e cattolico per tradizione, non ho mai pensato a Dio come il «padre» di Bambino Gesù. Ma a un Dio qualsiasi. Che non vuole dire un Dio minore. O da poco. Anzi. E, sempre a ben pensarci, la Pace la consideravo estesa a tutti, ma proprio tutti, gli uomini di buona volontà (che non vuole dire necessariamente i «buoni»). Anche al di fuori del loro credo religioso. Trovavo, trovo, il presepio semplicemente un messaggio d’amore. Parola, anche questa, ormai svuotata da un consumismo linguistico. Resta il fatto che, nel visitare la mostra di Tunisi, ho notato come tra le tante parole scritte sul quaderno delle impressioni lasciate dai visitatori, ricorresse con insistenza la parola «pace». Simbolo di un ostinato augurio, in tante lingue (arabo compreso), di una pace reale su questa terra che, ci piaccia o no, è l’unica che abbiamo. Buon segno. In un tempo come questo. Devo però precisare, in questo mio appunto, che io non appartengo alla schiera di quegli intellettuali «che sanno» e, soprattutto, non sono un politicante in carriera. Per questo sono così distante da un’insulsa querelle, di bassa lega, tutta italiana di questi giorni. Forse rappresento un uomo che ha come sua unica qualità quella di credere in un mondo migliore. Anche se la strada da percorrere, a volte, pare terribilmente lunga.

Delfino Maria Rosso



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