ALLA RICERCA DEI VANGELI/4 |
Venga il tuo povero regno |
Possiamo esaminare quattro detti dei Vangeli 1) La richiesta «Venga il tuo regno». Il Padre Nostro risale probabilmente a Gesù stesso, come attestato chiaramente. Infatti non era abitudine della chiesa antica attribuire a Gesù le parole delle sue preghiere e dei suoi inni. Inoltre il legame del Regno di Dio con il verbo «venire» in una preghiera è sconosciuto all’A.T., al giudaismo anteriore a Gesù e al resto del N.T. (357-58). 2) La tradizione dell’ultima cena per cui Gesù non avrebbe più bevuto vino fino alla venuta del Regno (Mc 14,25 Lc 22,18). Questo versetto non riflette le idee cristologiche ed ecclesiologiche della chiesa primitiva ed è quindi probabilmente autentico. Non si stabilisce relazione di causa ed effetto fra la morte di Gesù e la venuta del Regno. Gesù non godrà di un posto speciale nel banchetto: è solo uno dei salvati. È significativo che le aggiunte di Matteo 26,29 «nel Regno del Padre mio» e «con voi» cerchino di attenuare l’imbarazzo (386-87). 3) Il posto dei pagani al banchetto del Regno (Mt 8,11-12). L’accesso dei pagani alla salvezza solo al banchetto finale non si adatta alla situazione della chiesa primitiva che svolse una vigorosa missione verso i pagani nei decenni successivi alla crocifissione di Gesù. Inoltre nulla si dice riguardo al ruolo di Gesù, neppure come ospite, al banchetto (398-401). Il detto risale probabilmente a Gesù. 4) Le beatitudini, in particolare quelle della tradizione Q, che corrispondono in linea di massima alle prime tre di Luca. Tali beatitudini sono profondamente diverse da quelle che troviamo nel giudaismo e negli altri scritti del N.T. Queste espressioni non hanno senso senza la proclamazione da parte di Gesù dell’imminente instaurazione del Regno di Dio. Il nucleo originario mette al centro persone che non vengono esplicitamente definite virtuose ma che sono semplicemente nel bisogno. È una rivoluzione, ma non di tipo politico: è opera solo di Dio (428-30). Invece i tentativi di fissare dei limiti cronologici alla venuta del Regno (Mt 10,23; Mc 9,1; Mc 13,30) hanno la loro origine nella chiesa primitiva: sono parole di conforto ai cristiani preoccupati del ritardo della parusia (463). Ma l’annuncio del Regno imminente ha le sue origini in Gesù. Non avrebbe avuto senso per Gesù rinunciare completamente al suo normale modo di vivere e chiedere ad alcuni dei suoi discepoli di fare altrettanto se egli non avesse creduto che il Regno sarebbe venuto presto (443). I suoi esorcismi, la costituzione dei dodici, il condividere la mensa coi peccatori costituiscono già adesso una realizzazione preliminare del dominio regale di Dio (589). Il futuro è già cominciato e influisce sul momento presente. Se la liberazione fosse in un lontano futuro l’invito a gioire suonerebbe come una beffa (Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea, EDB 2002, p. 288). Ecco il re! Certamente alcuni confronti risultano degni della massima attenzione. Per Gesù i bambini sono i beneficiari del potere regale divino. Non solo questo fa a pugni con la mentalità giudaica, ma anche con quanto sostiene Paolo (1Cor 3,1-2). Gesù accoglie i peccatori che invece, dopo le dovute ammonizioni, sono esclusi dalla chiesa: «Sia per te come un gentile o un pubblicano» (Mt 18,17) (Barbaglio, cit., pp. 289-90). Gesù vede un’opportunità di entrare nel Regno per la prostituta, mentre già Paolo escluderà da esso i responsabili di peccati sessuali (1Cor 6,9) (Theissen-Merz, Il Gesù storico, Queriniana 1999, p. 317). E quanti degli scritti che derivano dalla chiesa primitiva riflettono il radicalismo di Gesù, pronto a lasciare tutto per la rivoluzione del Regno? Secondo Bornkamm (Paolo apostolo di Gesù Cristo, Claudiana 1982, p. 199) Paolo presenta il cristiano come una nuova creatura in attesa del ritorno di Cristo, ma non cerca di elaborare una scala di valori nuovi specificamente cristiana. Lo si nota nelle numerose occasioni in cui accumula serie di esortazioni che per contenuto e forma si apparentano ai «cataloghi di vizi e virtù» della tradizione giudaica e dell’etica popolare ellenistica. E ora, dopo due millenni di inutile attesa? Negli ultimi decenni gli studi biblici hanno fatto giganteschi passi in avanti, grazie alle scoperte archeologiche, al vaglio dei programmi più sofisticati di migliaia di computer al servizio di un numero enorme di studiosi in collegamento fra loro: tutto ciò ci permette una conoscenza del messaggio biblico prima impensabile. Ma è soprattutto la «Parola di Dio nella storia» che ci interpella e ci scuote. Che cos’è Dio, che cos’è il suo Regno dopo le guerre mondiali, dopo Auschwitz, e ora alla luce della terrificante onnipotenza della tecnica al servizio dell’impero economico? Forse l’annuncio più coinvolgente ci può venire non dalle tradizioni e neppure dalle stesse parole del Gesù storico: ci viene da un uomo potente, violento, un po’ vigliacco e forse ateo, che ci mostra un uomo flagellato e in procinto di essere condannato a una morte infamante, commentando ironicamente: «Ecco l’uomo ... ecco il vostro re!» (Gv 19,5.14). Un Regno debole, un Dio debole ci scandalizza. Ma Dio è totalmente altro, altro anche dal nostro concetto di altro: talmente altro da essere come noi. Diversamente dalla prova anselmiana, Dio è colui del quale non si può pensare nulla di più piccolo: il più piccolo è il più grande. La grandezza dell’amore consiste nel farsi piccolo per lasciare spazio a tutti e proprio la sua piccolezza estrema dimostra la grandezza di chi si fa solidale con tutti, cominciando dall’ultimo (Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Giovanni I, EDB 2002, p. 23 e Una comunità legge il Vangelo di Luca, EDB 2001, p. 64). Quello che può salvare il mondo dall’autodistruzione non può essere che un Dio debole tale da smascherare la stupidità criminale e la ridicola impotenza che si cela dietro alle nostre manifestazioni di potenza, dietro all’idolatria del denaro, della forza, del successo, della spettacolarità. «Mai Dio è stato così potente come quando ha rinunciato alla sua onnipotenza, per amore, per vederci liberi, per salvarci e darci gioia» (Garota, il foglio 313). Dario Oitana |