Per don Giussani, appena morto – pace e vita a lui dalla bontà di Dio – ambienti vicini a Comunione
e Liberazione mettono in giro la voce di una rapida beatificazione, No, per carità! supplichiamo il papa (o chi decide per lui). A parte l’inflazione di santi, che debordano dai calendari e perdono di significato, rimane il fatto che don Giussani non è un esempio per tutti i cattolici.
Egli, sicuramente in buona fede personale, ha rappresentato una concezione «forte» dell’identità
cristiana, un cattolicesimo a schiere compatte, ben piazzato nei meccanismi del potere, alleato, per conquistare posizioni, di uomini e gruppi spregiudicati e duri conservatori dell’esistente, sul modello non evangelicamente esemplare dell’Opus Dei (che però il papa apprezza). Quegli alleati si sono sbracciati nell’esaltarlo. Per fortuna, Berlusconi ha dichiarato subito di avere imparato da lui a fare quello che fa, e non si è vergognato di dire che lui l’aveva definito «l’uomo della Provvidenza» (come Pio XI definì Mussolini). Questo, se ci fosse buon senso, dovrebbe risparmiare a don Giussani un posto nell’affollato club dei santi da calendario, e lasciarlo felice del posto che la misericordia di Dio gli dà in paradiso, accanto, o poco più in là, di quella nonna, di quel povero, di quel semplice, in cui ognuno di noi ha incontrato la vita evangelica e tiene come santo esempio nel proprio cuore.
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