ASPETTI ETICI E GIURIDICI
Il referendum sulla fecondazione


È molto probabile che a primavera inoltrata abbia luogo il referendum sui quattro quesiti dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale a proposito della legge sulla procreazione medicalmente assistita: è stata esclusa solo la possibilità di poter eventualmente abrogare la legge in toto.

Dal punto di vista strettamente teorico per la fecondazione omologa (interna alla coppia) non servirebbe una legge: bastano la legislazione normale, i codici deontologici, i grandi principi della bioetica come il consenso informato. La coppia quindi dovrebbe decidere, interagendo coi medici, quanti embrioni impiantare, se fare o meno la diagnosi pre-impianto e, in caso affermativo, «scartare» (ad esempio congelandoli) gli eventuali embrioni portatori di malattie. Ma la legge di fatto esiste, ed è piuttosto restrittiva: non si possono infatti creare in vitro più di tre embrioni ed è obbligatorio immettere, in un unico e contemporaneo impianto, tutti gli embrioni creati; nel caso siano tre quelli preparati, bisogna impiantarli tutti e tre, senza poterne scartare alcuno e quindi rendendo inutile (oltre che emotivamente dannosa) qualsiasi diagnosi pre-impianto.

Come decidere che cos’è male?

Se al referendum dovessero prevalere i “no” o l’astensione, rimarrebbe l’attuale legge con tutti questi divieti francamente illiberali; infatti (cfr E. Agazzi, «Domenicale – Sole 24 ore» del 6-2-2005, p. 36) non bisogna mai dimenticare che nello spazio di quanto è legalmente lecito debbono poter ricadere azioni che sono moralmente riprovevoli secondo una certa etica ma moralmente ammissibili secondo un’altra (sbrigativamente: si può anche essere moralmente contrari al divorzio, ma non lo si può impedire legalmente agli altri con una normativa proibizionistica). Per proibire infatti legalmente una cosa, dovrebbe esistere un consenso pressoché universale della maggioranza delle culture sul fatto che essa contenga un notevole spessore di male: è il principio (bio)etico di non-maleficità. Se tale consenso non si dà (come nel caso del divorzio, dell’aborto terapeutico, dell’eutanasia, e nel nostro caso sicuramente della fecondazione omologa ma anche di quella eterologa), siamo nell’ambito del pluralismo, che non è un banale e rozzo relativismo etico; certo il pluralismo fa paura (come se fosse un virus o un batterio patogeno) a tutti i sistemi teocratici, come a tutti i fondamentalismi e integralismi, anche quelli più «moderati». Ma il male oggi, diversamente sia dall’epoca antica che dal medioevo, non può più essere definito in modo seccamente autoritario e paternalista, ossia da una qualche autorità (religiosa, filosofica o politica).

Esiste inoltre l’ulteriore ma collegato principio della derogabilità a livello legale: ad es., pur sostenendo la sacrosanta inviolabilità della vita umana, la deroga da tale principio è stata legalmente praticata e teoricamente giustificata, nel passato e nel presente, sia dal pensiero cattolico che da quello laico (legittima difesa, guerra, pena di morte, roghi degli eretici, ecc. cfr Agazzi, ibidem). Lo stesso cattolicesimo romano, pur considerando nella sua morale ufficiale moralmente inaccettabile anche la fecondazione omologa (Catechismo 2377), ha derogato da tale principio sostenendo e tutelando la legge vigente, e si sta mobilitando per la sua difesa in chiave antirefendaria/astensionistica. O, ciò che è praticamente lo stesso, Roma dal suo punto di vista ha optato per il minor male (ossia l’attuale legge con una omologa fortemente restrittiva), come hanno fatto coloro che, pur essendo anche decisamente contrari all’aborto visto moralmente come un male di un certo spessore, sostennero a suo tempo la legge 194 come minor male rispetto all’aborto illegale clandestino.

Sì alla eterologa?

Si dovrebbe quindi convenire sulla possibilità di fare la diagnosi pre-impianto e quindi concedere di crioconservare (congelare) l’eventuale embrione malato; si dovrebbe inoltre permettere di ottenere parecchi ovuli (anche una decina, per un eventuale secondo tentativo) con un’unica stimolazione follicolare (perché è abbastanza pesante per la donna); essere proibizionisti su questi punti rasenta quasi l’assurdità: infatti non solo non esiste un ampio consenso sul fatto che siano un male, ma semmai sul fatto che siano «quasi un bene», o comunque una cosa eticamente accettabile. In sintesi, per ottenere tutto questo si dovrebbe quindi votare sì, onde eliminare tutti i suddetti divieti.

Si potrebbe invece giustamente mantenere l’impianto di non più di 3 embrioni per volta (in linea con la legge attuale), per evitare la «riduzione fetale»: dato che la tecnica è ben lungi dall’essere perfezionata, con una percentuale di riuscita che si aggira intorno al 15-20%, si impiantavano 5-6 embrioni nella speranza che almeno uno arrivasse alla nascita; qualora però fossero partite 5-6 gravidanze se ne “abortivano” alcuni riducendo il numero degli embrioni medesimi.

Ma se dovessero prevalere i sì ai quesiti referendari ammessi, verrebbe meno la proibizione, fortemente sanzionata, della cosiddetta «eterologa», cioè quella parzialmente estrinseca alla coppia con spermatozoi od ovuli (gameti) di donatore esterno; in tal caso sarebbe indispensabile predisporre quanto prima una regolamentazione. Cassando infatti il comma 3 dell’articolo 4 («È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo»), sulla base del principio giuridico secondo il quale «ciò che non è vietato è ammesso», rimarrebbe in piedi una legge monca che sull’eterologa dice solo che «in caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo [in violazione del divieto suddetto] (ma questo inciso verrebbe tolto), il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi». Il che va benissimo ma, dato che il referendum è solo abrogativo e non può controproporre un testo alternativo, non si dice nulla sulle modalità di reperimento e di utilizzo del seme/ovulo del donatore; in particolare non viene regolamentata, pensando soprattutto alle strutture private, l’eventuale compra-vendita dei gameti.

Sperimentazione con cellule embrionali

Un quesito referendario riguarda anche la questione della sperimentazione con gli embrioni. Il comma 2 dell’art. 13 della legge attuale suona: «La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso»; significa chiaramente che la finalità terapeutica è adesso, per quell’embrione specifico oggetto di ricerca, per guarirlo, salvarlo e portarlo alla nascita.

Ma nel caso della vittoria del sì ai quesiti referendari, verrebbe espunta tutta la seconda parte della frase (in corsivo), dopo la parola «diagnostiche»; il significato cambierebbe drasticamente nel senso che si può sperimentare sugli embrioni, manipolandoli, per finalità terapeutiche che possono maturare anche fra parecchi anni. Si aprirebbe la strada alla sperimentazione senza alcuna guida regolamentatrice. Un possibile accordo potrebbe essere il seguente: ammettere la sperimentazione con cellule staminali embrionali con dei protocolli molto trasparenti (utilizzando gli embrioni già congelati, destinati comunque alla distruzione nel giro di un lustro), a ponendo come limite invalicabile la gastrulazione (quando comincia la formazione del sistema nervoso centrale). In qualsiasi modo venga condotta la sperimentazione, questo stadio non deve essere raggiunto: ci pare infatti che esista un consenso pressoché universale sul fatto che manipolare feti, con il sistema nervoso già considerevolmente avviato, sia un male da proibire. Da notare che abbiamo volutamente tralasciato la questione, perché irrisolvibile, di quando e come inizi la persona umana.

Madre surrogata

Qualunque esito abbia il referendum, rimane tuttavia aperto il problema della madre surrogata (il cosiddetto «utero in affitto»); di per sé non è vietato, ma di fatto risulta impraticabile e improponibile allo stato attuale del diritto, perché nell’attuale legislazione l’unica madre legale è colei che ha partorito (da che mondo è mondo la madre naturale è una sola); come si può trasferire la maternità legale dalla madre gestazionale alla madre genetica? Attualmente c’è solo il disconoscimento (cosa che dovrebbero imparare le giovani madri che abbandonano il neonato nei cassonetti), ma non si può disconoscere un figlio a favore di un’altra famiglia, lo si può solo disconoscere tout court, dopo di ché lo Stato provvederà ad affidarlo a qualche istituto o all’adozione. Ossia lo statuto del neonato non è soggetto a contrattazione privata.

Ma prima o poi si porrà il problema, tenendo presente il fatto che, con la vittoria dei sì, la madre surrogata potrà provenire sia dall’omologa che dall’eterologa. Bisognerà quindi valutare se dare o meno il via libera alla madre surrogata, sia interna alla famiglia (la nonna giovane o la zia rispetto alla coppia originaria, le quali portano avanti la gravidanza per conto della figlia/nuora o sorella/cognata) che esterna, ossia la madre surrogata estranea che per questo viene pagata (come avviene in certi paesi anglofoni). Si tratterà di decidere legalmente ed espressamente se acconsentire ad entrambe, o proibirle entrambe, oppure ammettere solo la madre surrogata familiare, perché la nonna o la zia, oltre al fatto presumibile di non essere pagate, conserveranno comunque un rapporto affettivo col nipote; anche se non sono da sottovalutare gli eventuali problemi che potrebbero sorgere per il bambino dal fatto di avere una «seconda madre» nell’ambito della famiglia. Mentre invece a quella estranea, oltre al fatto di essere pagata, sarebbe interrotto brutalmente, dopo il parto ed un eventuale periodo di allattamento, qualsiasi tipo di rapporto col neonato. Si potrebbe individuare un consenso pressoché universale (a parte l’eccezione ad es. della California) sul fatto di vietare la surrogata estranea, a maggior ragione se di provenienza eterologa. Un giovane studente, figlio naturale ma con l’esperienza di una sorella adottata, mi faceva notare che la madre surrogata potrebbe forse essere vista come un’adozione con un iniziale passaggio in più.

Ernesto Ferretti


 
 
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