DISCUSSIONE
L'impero siamo noi


Le seguenti riflessioni si basano sul saggio Per un mondo migliore. Affinché Porto Alegre non segni la partenza di un viaggio nel nulla di Paolo Barnard 
(http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_8387.html).

Il neoliberismo ha vinto

Il movimento no-global per la costruzione di un Altro Mondo ha fatto registrare un fallimento devastante, a dispetto di una colossale mole mondiale di manifestazioni, marce, sit-in, contestazioni, iniziative culturali, pubblicazioni, occupazioni, disobbedienze civili. Perché? In un mondo in rapidissima evoluzione tutto muta... eccetto noi. Siamo statici, fermi nelle stesse modalità di lotta di trent’anni fa, proprio mentre i nostri avversari lavorano 24 ore su 24, con mezzi economici colossali e cervelli fini, con strategie sempre nuove. Il nostro progetto non è noto né condiviso dal 99,99 % dell’umanità. Anzi sono proprio i paesi poveri che non vogliono sentire parlare di una moderazione di consumi, dopo secoli di privazioni.

Siamo tutti complici

La parete divisoria che amiamo erigere fra «noi» e «loro», e cioè fra il popolo delle persone sensibili alla giustizia globale e i malvagi timonieri del neoliberismo, è purtroppo un artificio ingannevole. «Loro» sono anche noi, e noi siamo anche «loro». Non ammetterlo ci condannerà a decenni di manifestazioni, di invettive, di sforzi e all’uso di una montagna di energie del tutto inutili, sprecati perché diretti contro «loro», e cioè contro il bersaglio sbagliato. Il vero bersaglio siamo NOI. Noi siamo l’Impero, noi siamo il Fmi e il Wto, noi siamo i governi, noi siamo i G8, noi siamo le guerre, noi siamo le multinazionali che foraggiamo ogni giorno con i nostri consumi e il nostro stile di vita. Gli Usa siamo noi. Un intellettuale inglese antagonista così dichiarava: «Il nostro governo sembra aver calcolato che l’unico modo di ottenere l’energia per permettere agli uomini e alle donne inglesi di rimanere sulle loro auto è di assecondare gli Stati Uniti a qualunque costo».

Il prezzo di un Altro Mondo

Tutti noi dovremmo studiare, calcolare, divulgare i prezzi da pagare per costruire un mondo migliore, prezzi in termini di mezzi richiesti per la fattibilità, di rinunce al consumo, di perdita di equilibri politici, di decrescita economica, di mutamenti di stili di vita, di crollo di occupazione e strategie per riconvertirla. Infatti uno dei costi più amari che noi ricchi dovremmo sostenere per un Altro Mondo in Costruzione è la perdita di milioni di nostri posti di lavoro, se veramente vogliamo permettere al Sud di sbarcare sui nostri mercati ad armi pari. In teoria vorremmo dare a tutti paghe e diritti uguali; ma dietro la bella facciata dei diritti per tutti, in realtà dovremmo sottrarre al Sud l’unica sua vera risorsa: la forza lavoro competitiva. E tutto questo per pagare le merci assai di più. Tutti i sindacati occidentali sono in imbarazzo, mentre balbettano slogan come globalizzazione dei diritti. Si tratta di far accettare all’Occidente prezzi inaccettabili per tutti, almeno per ora.

Vincere la paura

Nell’Occidente sorgono nuove povertà, le retribuzioni reali calano, la disoccupazione aumenta, le pensioni sono a rischio, aumentano i tagli alla sanità, all’istruzione, alla difesa dell’ambiente, si diffonde la paura per l’indomani. E noi cosa proponiamo? Stiamo dicendo a questi ottocento milioni di impauriti e di insicuri, aggrappati alle loro auto, alle vacanze, ai loro posti di lavoro, ai fondi di investimento, alle offerte speciali, ai telefonini, ma soprattutto ansiosi di non farcela a mantenersi a galla, che la soluzione sta in un Altro Mondo in Costruzione, di cui innanzitutto non conosciamo il prezzo, ma che soprattutto verrà fra quanto? 50 anni? 150 anni? 500 anni? Ma intanto oggi tutti hanno paura di non averne abbastanza, paura dell’immigrazione e del terrorismo. Di fronte alla paura la parte meno evoluta della natura umana diventa “di destra” e chiede a gran voce soluzioni semplicistiche. Tutti sanno che l’odio contro di noi e la corsa dei poveri al consumismo a tutti i costi durerebbero ancora decenni e ancora per decenni i benestanti del Nord dovrebbero fare i conti con i Bin Laden, con i fanatismi, con le mafie globali. Tutti stanno precipitando nell’ansia e nella vecchia convinzione che il dialogo non paga. Meglio le bombe.

Sappiamo ascoltare?

Noi ci illudiamo di ottenere il consenso di 800 milioni di occidentali impauriti più altrettanti nuovi consumatori del Sud approdati da poco a uno stile di vita non lontano dal nostro. E noi non li ascoltiamo! Non sappiamo ascoltare la paura delle persone comuni, quelle che così spesso ignoriamo e anzi che scartiamo con un certo disprezzo come rappresentanti di una bieca via di comodo, egoista e insensibile ai drammi dei poveri. Dovremmo fare il contrario e imparare ad accoglierle con le loro paure, ascoltandole innanzitutto, prima di proporre loro ogni altro discorso. Essenziale è smettere di parlarci addosso: i nostri convegni, incontri, dibattiti, vedono riunirsi ormai sempre gli stessi volti, lo stesso popolo di gente già sensibilizzata, che parla a se stessa.

Che fare?

Come tramutare l’ampio consenso che la società civile occidentale dà al suo benessere (col suo corredo di ottusità morale, misoneismo, pigrizia mentale) in un consenso verso l’esatto contrario, contrario, verso l’autocritica, l’altruismo intelligente, la creatività? Come dialogare coi miliardi di esseri umani del Sud che oggi tentano di uscire dalla miseria affinché non replichino il nostro scempio economico ed ecologico?

Non bastano gli strumenti che per trent’anni abbiamo privilegiato, non basta predicare la giustizia e comunicare fatti e cifre. Occorrono nuove arti per comunicare i nostri temi in modo originale, capillare e continuo, e creare consenso attorno a essi proprio fra la maggioranza meno sensibilizzata.

A questo punto possiamo ragionevolmente domandare con lo stesso spirito impietoso e implacabile che ha animato Barnard: noi, esigua minoranza, siamo disposti a pagarne il prezzo? Cioè gli appartenenti al movimento sono in grado di sostenere col proprio tempo e col proprio denaro iniziative volte a informare e sensibilizzare i cinquantasette milioni di italiani? Si può ipotizzare che ognuno debba versare alcune migliaia di euro a questo scopo e ognuno metta a disposizione una decina di ore alla settimana di volontariato.

Ma il punto forte del lavoro non è il denaro, né le ore impiegate. Tutto questo compito dovrebbe essere sostenuto da una rassicurante convinzione: non portare un annuncio triste e ascetico, ma un grido di gioiosa liberazione. Infatti il neoliberismo, almeno negli ultimi trent’anni, ha portato danni anche ai cosiddetti privilegiati, traumatizzati da una continua rincorsa per soddisfare bisogni sempre più artificiali attraverso mezzi sempre più costosi e faticosi. Per questo è indispensabile l’aiuto del Sud del mondo. Tra le sofferenze della miseria e quelle dell’abbondanza c’è spazio per una gioiosa sobrietà volontaria. Esperti del Sud del mondo dovrebbero insegnarci come si può vivere dignitosamente e serenamente lavorando di meno, preoccupandoci di meno, spendendo di meno e godendo di più dei piaceri della vita.

Certo il compito è immane, ma il compito dei neoliberisti è fare in modo che due più due facciano cento, cioè farsi profeti del mito della crescita illimitata in un mondo limitato. I veri realisti, i veri politici, i veri economisti, i veri diffusori del benessere siamo noi. Il resto è sogno, illusione, utopia distruttiva.

Dario Oitana


 
 
[ Indice] [ Archivio] [ Pagina principale ]