IL CODICE DA VINCI /1 |
I segreti dei vangeli |
La Buona Novella come soap opera Il romanzo è un giallo, peraltro avvincente, ricco di enigmi (sembra una grande settimana enigmistica) e di colpi di scena, anche se personalmente preferisco, dello stesso autore, Angeli e demoni. Ma non è il caso di raccontare la trama. Quello che interessa sono i riferimenti teologici. Ecco in sintesi le tesi “scandalose” del romanzo. In occasione del Concilio di Nicea, Costantino fece bruciare tutti i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo, conservando solo quelli che ne esaltavano i tratti divini (cap. 55). In particolare è stata censurata la figura di Maria Maddalena, moglie di Gesù. Per difendersi dal potere di questa Apostola, simbolo del femminino sacro e del Santo Graal, la Chiesa l’ha etichettata come prostituta, ed ha cancellato le prove del suo matrimonio. Ma Maddalena era incinta quando Gesù fu crocifisso e con l’aiuto dello zio di Gesù, Giuseppe d’Arimatea, raggiunse la Gallia e diede alla luce una figlia. Maddalena fu sepolta sotto il Louvre e la discendenza di Gesù si perpetuò nella dinastia dei Merovingi e oltre (cap. 60ss.). Questa “verità” ci è stata tramandata da sette segrete e qualcosa è venuto alla luce dalla scoperta dei vangeli apocrifi. Nel campo dell’immaginario romanzesco, Brown non è originale. Nel poco fortunato romanzo di Eco Il pendolo di Foucault (Bompiani 1988, p. 299), si legge più o meno lo stesso racconto. Ma lo spirito è completamente diverso. Il romanzo di Eco è una satira contro ogni maniacale revisionismo storico, contro la ricerca morbosa di piani, di complotti, di segreti, di sensazionali rivelazioni che non esistono se non nella nostra fantasia malata. Ad esempio un antico documento che viene forzatamente interpretato come il piano dei templari per dominare il mondo si rivela essere la lista di una lavandaia di alcuni secolo fa. Anche il figlio d’arte Jacopo Fo (Gesù amava le donne, Nuovi mondi 1999, p. 35) sostiene che Maria Maddalena era la moglie di Gesù. La fonte è la stessa di Brown, e cioè il Vangelo di Filippo. Sono andato a leggermi questa noiosa opera. C’è tutto fuorché la presentazione dei tratti umani di Gesù. È un insieme di detti oscuri, di strani miracoli, di simboli indecifrabili. In questo testo (n. 55) i cacciatori di scoop hanno trovato la piccante notizia della moglie clandestina di Gesù. Una risposta saccente A parziale giustificazione di Brown occorre precisare che all’inizio viene chiaramente detto che «questo libro è un’opera di fantasia». La risposta di Bock viene invece presentata come frutto di uno studio accurato. Nella confutazione di Bock, si può senz’altro essere d’accordo su di un punto: «Se Gesù fosse stato sposato e padre, la sua relazione coniugale non avrebbe minato in teoria la sua divinità» (p. 43). Inoltre si trovano altre giuste osservazioni, come quella che non era scandaloso per un ebreo essere celibe, come anche sostiene Meier con prove più convincenti in Un ebreo marginale, vol. I, pp. 325-45. Ma dalla lettura emerge che il grande studioso ha operato con sconcertante superficialità. La trattazione sul celibato in I Corinzi 7, viene collocata prima al capitolo 1, poi al 4, poi di nuovo al cap. 1. Il capitolo 7 non viene nominato. Due volte si cita Corinzi senza distinguere la prima dalla seconda lettera (pp. 49-52). A p. 82 si confonde il vangelo di Giovanni con la prima epistola. Sono tutti errori di stampa? Ma c’è di più. Quando ho letto Il codice, sono rimasto sconcertato dall’affermazione che dalla crocifissione di Gesù al concilio di Nicea, erano passati «quasi quattro secoli» (cap. 55). Bock, anziché cogliere l’occasione per denunciare la superficialità di Brown, rincara la dose: dal 30 al 325 d. C. sono passati più di quattro secoli! (p. 104). Poco più in là attenua l’errore parlando di «trecento anni e più» (p. 110). Altri errori di stampa? Citando Matteo 5,31-32, Bock traduce: «Chi rimanda sua moglie, sia pure in caso di fornicazione...». Se ci sono dubbi sul significato di porneia (adulterio, concubinato), non ci sono dubbi sul significato di parektòs, «tranne, eccetto». Così anche nella traduzione Cei, così ogni dizionario. La traduzione di Bock non è grammaticalmente possibile e va considerata una vecchia soluzione di ripiego suggerita da difficoltà dogmatiche (Gnilka, Il vangelo di Matteo, parte prima, Paideia, p. 256). Questi gli errori più evidenti. Ma emerge dalla lettura di Bock una mancanza di aggiornamento sulla ricerca del Gesù storico. Si ripetono cose che avevo appreso cinquant’anni fa. Eppure il professorone viene presentato come specialista in studi anche sul Gesù storico. E il preside della Facoltà di Teologia dell’Università cattolica di Washington, autore della prefazione e definito dal card. Bertone «un brillante studioso, un mio allievo». («la Repubblica», 25-3-05). In tal modo l’eminente porporato fornisce a Dan Brown un’ulteriore prova dell’ignoranza e della presunzione delle gerarchie vaticane. Almeno lo spaccone Dan Brown non pretende di essere un teologo né un Principe della Chiesa. Ancora una volta la realtà supera la fantasia. Ma è proprio da qui che bisogna partire per una vera critica al codice, per una critica alla critica, e per spiegare le ragioni del successo di Brown e della curiosità suscitata. Dario Oitana (continua) |