CHIESA

Il buon soldato ingenuo


C’è un vescovo che come diocesi ha l’esercito e lui è un generale. L’esercito è una cosa che decide le questioni con le armi. Le armi sono una cosa che ammazza o terrorizza le persone umane. Molti ritengono che, poiché ce le hanno gli altri, dobbiamo averle anche noi, e che da qui non si scappa. Altri pensano che se non si esce dalla logica arma contro arma, sempre più distruttive, ci distruggeremo completamente, e che questa uscita, mai sperimentata dalle istituzioni, è possibile. Il vescovo militare non pensa così e l’esercito gli va bene, è una cosa nella quale si può essere buoni cristiani, e lui è lì per questo. Ce l’ha messo il papa. Scrive ai soldati una lettera pastorale, Camminate secondo lo Spirito (ottobre 2004), di 48 pagine, su come si può essere buoni cristiani nell’esercito.

C’è anche chi ritiene che la prostituzione sia ineliminabile, che ci siano donne nate per questo, e che abbia anche una funzione sociale. Nello stato pontificio c’erano le case chiuse riconosciute, e pagavano le tasse al papa. C’era anche la pena di morte e dunque il boia stipendiato. Oggi non più. Gli svizzeri con le alabarde non so se ci sono ancora. Ma il vescovo e i cappellani militari ci sono ancora, eccome! Il papa parla contro la guerra, ma non dice ai soldati di non farla, di non sparare e non ammazzare. E gli manda i cappellani a confortarli, a confessarli, a insegnargli come vivere da buoni cristiani anche sparando.

La pastorale del vescovo militare è piena di buon senso cristiano, di pietà tradizionale. Se un soldato la legge impara cose buone. Parla di vita spirituale, di Parola di Dio, preghiera, carità, ascesi. Dell’esercito parla molto poco: per dire che fa missioni di pace (p. 4 e 31); che i soldati, con generosità e sacrificio, costruiscono edicole alla Madonna e ai Santi (p. 20); che ci sarà una rappresentanza della diocesi militare al congresso eucaristico di Bari, in maggio (p. 23); che vede spesso fra i soldati immagini di Gesù coronato di spine (p. 27; vuol dire che portano in tasca queste immaginette, non che somigliano a Gesù sofferente); che attorno alle nostre basi militari nel mondo tutti riconoscono la singolare “umanità” degli italiani (p. 31; ma non accenna alla Somalia); e cita volentieri le metafore militari dalle lettere paoline, come se riguardassero i soldati (p. 34). Quando ricorda il buon samaritano non rivendica esplicitamente, come è stato fatto altre volte, questo titolo ai nostri militari nel mondo, ma lo suggerisce implicitamente (p. 29).

La pastorale cita 35 volte la Scrittura; 15 volte Giovanni Paolo II; accenna una volta, ma senza nominarla, alla Pacem in terris, di Giovanni XXIII (p. 17). Cita una decina di antichi padri della chiesa e una ventina di personaggi, da Pirandello a Camus, da Papini a padre Pio.

Se ci è permesso osservare qualcosa: è discusso dai migliori teologi che la coscienza morale non abbia fondamento senza la fede (pp. 4-5); per esortare alla confessione, il vescovo cita Giovanni 20,22-23, ma dice che Gesù diede agli apostoli il potere di riconciliare, mentre il testo evangelico dice discepoli e non apostoli (p. 23); ritiene che il popolo italiano sia ancora impregnato di ethos cristiano (pp. 31-32); dice che «ascesi» significa «salita», e invece significa «esercizio» (p. 33, e pensare che gli sarebbe venuto bene un gioco di parole con «esercito»). È con piacere che condividiamo la critica del vescovo militare a chi pensa il cristianesimo soltanto «come riserva di valori, una specie di “religione civile” utile al sistema» (p. 12), come fanno proprio quegli «atei devoti» che governano il sistema italiano attuale, del quale l’esercito curato dal Nostro è lo strumento primo del culto armato dell’Occidente cristiano.

Ho letto con attenzione tutto il facile documento. Ne esce la figura di un autore ingenuo, ben intenzionato, beatamente ignaro del gioco a cui serve in quel ruolo.

Enrico Peyretti

 
 
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