RESISTENZA |
Quando Tina Anselmi arrestò suo padre |
«Avevamo vent’anni e oltre il ponte che è in mano nemica...», dice una canzone scritta da Italo Calvino, sì, quello del Barone rampante. Ma di anni Tina Anselmi ne aveva solo 16 e mezzo quando il 26 settembre del 1944 a Bassano, dove frequentava l’Istituto magistrale, gli studenti furono costretti a recarsi in viale Venezia: «i fascisti e i tedeschi avevano compiuto un grande rastrellamento sul Grappa, avevano catturato 43 giovani e li impiccavano agli alberi del viale. Tra quei giovani c’era il fratello della mia compagna di banco. Costrinsero la popolazione e noi ad assistere alla fucilazione. Fu uno spettacolo orrendo. Alcuni bambini svennero, altri piangevano, tutti erano sconvolti. Quei poveracci erano innocenti, ostaggi uccisi per rappresaglia, perché i partigiani avevano fatto saltare un ponte». È la Anselmi stessa – più volte ministro e presidente della Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2 – a ricordare in un libro dedicato ai nipoti che fu questo episodio a spingerla a passare dal rifiuto del fascismo alla Resistenza, come staffetta. «Nella nostra incoscienza io e i miei e i compagni abbiamo accettato una sfida, abbiamo vissuto un’esperienza drammatica, in un momento in cui era necessario schierarsi e decidere da che parte stare. Siamo stati per certi aspetti fortunati, rispetto ai giovani di oggi, perché la realtà ci aveva costretti a decidere guardando la verità in faccia». Ma in concreto quale fu il suo compito? «Mantenere i contatti fra le diverse formazioni della brigata e informare le bande sugli spostamenti dei tedeschi. Per assolvere questo compito facevo più di cento chilometri al giorno in bicicletta. Con le strade di ghiaia i copertoni si consumavano rapidamente... I miei amici partigiani erano costretti a rubare le gomme di altre biciclette per rifornire la mia! Una volta, non sapendo che ero io, mi fermarono e volevano portarmi via i copertoni...». I suoi genitori non sapevano nulla della sua partecipazione, anche perché Tina intanto continuava ad andare a scuola, iniziando la giornata alle cinque e saltando spesso il pranzo... Senza contare i rischi che si correvano... affrontati con quel pizzico di incoscienza tipico degli adolescenti. Il giorno della Liberazione a Castelfranco, paese natale della Anselmi, i partigiani avevano fatto un patto con i tedeschi: lasciarli passare verso il confine se non facevano rappresaglie. Ma gli alleati non arrivarono all’ora stabilita, e gruppi di tedeschi e fascisti tentavano di raggiungere il confine – uccidendo senza pietà 162 giovani. L’ordine ai partigiani era: lasciar passare solo le persone che sapevano la parola d’ordine. Tina controllava una zona del paese. Nel buio vede l’ombra di un uomo. «Parola d’ordine!». Niente. «Allora puntai la rivoltella contro la schiena di quell’uomo e lo portai al comando. Alla luce mi accorsi che quell’uomo era mio padre. Nonostante il coprifuoco era uscito di casa per cercarmi! Per mesi il paese rise all’idea che mio padre, antifascista dichiarato, fosse stato arrestato nel primo giorno di liberazione dalla propria figlia partigiana!». Antonello Ronca • Tina Anselmi, Bella ciao. La Resistenza raccontata ai ragazzi, Biblioteca dell’immagine, € 10. |