Cauta attesa |
Pensiamo a papa Giovanni. Da cardinale condannò i democristiani «di sinistra». Da papa continuò l’amicizia col dittatore Franco e nei primi due anni del pontificato continuò a intromettersi nelle vicende della politica italiana. Poi divenne il papa della nuova Pentecoste. Il cardinale Ottaviani, simbolo della più gretta intolleranza, finì come mite propugnatore della nonviolenza. Il cardinale Luciani passava per conservatore. In un mese, in nome dell’humilitas, abolì trionfalistiche usanze secolari. Persino il vescovo martire Romero debuttò come moderato. Ratzinger invece iniziò come progressista; poi divenne il caparbio difensore dell’ortodossia. Ci sarà un “terzo” Ratzinger? Le sue prime parole sono state di profonda umiltà; come Benedetto, forse, non ha inteso essere una fotocopia di Giovanni Paolo. Nell’omelia tenuta nella Cappella Sistina la mattina del 20 aprile, il giorno dopo la sua elezione, sembra che i suoi precedenti «no» siano stati messi tra parentesi. Come scrive Küng («la Repubblica» 20-4-05), «l’esperienza insegna: il magistero di Pietro nella Chiesa cattolica è ai giorni nostri una sfida di tale entità, da poter cambiare profondamente qualsiasi persona (...). Chi entra in Conclave con l’immagine o la fama di cardinale conservatore può uscirne come pontefice riformatore». Auguriamo all’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede di ricordarsi di essere un discepolo di Gesù, l’ebreo marginale privo di mezzi ricchi e violenti, amico dei disgraziati, dei disprezzati, dei peccatori, dei misericordiosi e degli “eretici” samaritani, perseguitato dai potenti custodi dell’ortodossia: e per questo Figlio di Dio.
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