IL CODICE DA VINCI /2
Il codice dei vangeli canonici


Sul Codice da Vinci (cfr il foglio 320) è uscita un’altra confutazione: Ehrman, La verità sul codice da Vinci, Mondadori 2005. È uno studio decisamente più serio di quello di Bock; si può solo osservare che la grande maggioranza delle note riguarda opere... dello stesso autore. Ma il grande successo del romanzo di fantareligione di Dan Brown (centomila copie alla settimana vendute negli Usa nel 2004) non fa che confermare clamorosamente quanto Küng scriveva dieci anni fa a proposito di simili panzane: «l’accoglienza riservata a tali fantasticherie è indice di una crisi di fiducia nella chiesa cattolica: al Vaticano non si crede per nulla, ma lo si ritiene capace di tutto» (Cristianesimo, Rizzoli 1994, p. 34). Ma il fenomeno da Vinci merita qualche altra considerazione.

Il Credo di un assassino?

Uno dei cavalli di battaglia del best seller è il preteso affossamento del cristianesimo autentico operato dall’imperatore Costantino. C’è qualcosa di vero in questa affermazione?

Un certo adattamento di Gesù alle esigenze del tempo è iniziato già nella chiesa primitiva. La distinzione (spesso problematica) tra il Gesù storico e il Gesù delle prime comunità è un criterio valido per arrivare, con un serio grado di probabilità, alle autentiche parole e opere di Gesù. È utile servirci di quello che Meier definisce criterio dell’imbarazzo. Anche il citato saggio di Ehrman sostiene che “quello che contrasta aiuta” (p. 120). Quindi è già evidente un primo tentativo di modificazione.

Gli studi più recenti mettono in risalto l’ebraicità di Gesù. Egli è un ebreo marginale (Meier), un ebreo di Galilea (Barbaglio); la sua vita va inserita entro la molteplicità delle numerose correnti del «giudaismo in subbuglio» del suo tempo (Theissen). Forse le correnti del cosiddetto giudeocristianesimo partivano da questa base. Ma la maggior parte dei suoi scritti andò perduta. Eppure sarebbe più che mai necessario «prendere sul serio la molto più originaria cristologia dei discepoli ebrei di Gesù e delle prime comunità giudaico-cristiane» (Küng, op. cit., pp. 108-18).

E quanto a Costantino, non dobbiamo di nuovo riflettere sulla sua figura, sugli scopi della sua opera, sintetizzati dal motto «un Dio-un imperatore-un impero-una chiesa-una fede» (Küng, op. cit., p. 188)? Non abbiamo ancora bisogno di «scuotere la polvere imperiale che si è depositata, dopo Costantino, sul trono di San Pietro»? (Congar, Pour une église servante et pauvre, Cerf 1963, p. 119).

Chi era Costantino? Un autocrate sanguinario che ha fatto uccidere Licinio e i suoi cortigiani (nel 325), suo figlio Crispo e sua moglie Fausta (nel 326, dopo Nicea). A questi crimini si aggiunge l’assassinio di suo suocero e di tre cognati (Storia della Chiesa diretta da Fliche e Martin, Lice 1940, p. 67 e Nouvelle Histoire de l’Eglise di Daniélou-Marrou, Seuil 1963, p. 276). Convoca il Concilio di Nicea in cui su trecento vescovi solo quattro provengono dall’Occidente latino e condanna all’esilio i pochi (?!) oppositori (Daniélou, op. cit., pp. 292 e 294).

Il segreto dei Vangeli canonici

Anche lasciando da parte i mezzi e i fini dell’imperatore, che cosa ci dice oggi il Simbolo niceno? Quanta teologia ellenistica e quanto poco annuncio evangelico! Dove è l’annuncio del Regno? Viene spostato in un tempo senza tempo, dopo il Giudizio. Dove è la misericordia di Dio? Il perdono sembra essere solo la conseguenza automatica di un solo battesimo. E il perdono reciproco? E il pane quotidiano? E le Beatitudini? E le antitesi del discorso della montagna? E il «lasciare tutto»? E il primato dell’Amore? E il gioioso coraggio nelle inevitabili persecuzioni? E la contrapposizione col Mondo? Eppure Gesù mai ha detto: «Parla come me»; ma ha detto: «Seguimi» (Küng, op. cit., p. 60).

Gli studi più recenti sui vangeli hanno messo in luce che, proprio dai vangeli canonici, non dai vangeli apocrifi, possiamo scoprire nuove cose su Gesù, possiamo scoprirne gli autentici tratti umani, anche se non si può farne venire fuori un best seller. Dai racconti dell’infanzia a quelli sul Battista, dai «cugini» di Gesù al «primato di Pietro», da molti miracoli alle profezie ex eventu, quante sono le modifiche apportate dalla chiesa primitiva! E quanto potrebbe essere fecondo, soprattutto oggi, l’annuncio gioioso del Regno imminente, annuncio che probabilmente risale allo stesso Gesù!

E allora è da buttare tutto ciò che appare come opera della comunità primitiva? No. Essa ha messo in bocca a Gesù quello che sentiva essere l’esigenza dei tempi, la parola di Gesù detta in quel momento. Anche noi dobbiamo fare altrettanto. «Al di là, e più profonda delle differenze temporali, vi è una contemporaneità degli uomini di tutti i tempi... La storia delle “parole di Dio” rivolte ad altri uomini nel passato è per l’uomo concreto di oggi una guida, che lo abilita a intendere la “parola” personalmente a lui rivolta. Gli scritti sacri dovrebbero dunque considerarsi, piuttosto che il codice della rivelazione, come la sua viva giurisprudenza, come il “canone”, come la “regola” della rivelazione» (Miegge, Per una Fede, Claudiana 1991, p. 36).

Questo è il compito dei veri teologi e dei curatori di anime. Affinché il grande pubblico non cada nella trappola dei best seller, occorre che i membri di tutte le chiese vengano informati dei risultati della ricerca biblica in modo comprensibile e coinvolgente. Solo così la parola di Gesù giungerà fino a noi.

Dario Oitana


 
 
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