GIOVANNI PAOLO II |
L’estremo saluto |
Quando morì mio padre, allestimmo un’improvvisata camera ardente familiare. Con mia madre, accoglievo in un’altra stanza parenti e amici, e anche sconosciuti lontani compagni di gioventù di mio padre. Abbracci, poche parole. Quasi tutti poi chiedevano di vedere mio padre per l’ultima volta. Li accompagnavo di là. Uno sguardo, qualche lacrima, sospiri, poche parole in piemontese all’amico di avventure giovanili: «Ciao Gigi, fatla bon-a». Non accadde mai, né era immaginabile che accadesse (né saprei dire come avrei reagito) che una di quelle persone estraesse una macchina fotografica e cominciasse a scattare flash. Ho sentito molti fedeli in piazza San Pietro ripetere «Era come un padre per tutti noi». Poi, scelta a caso una foto di giornale, ho notato che su cinquanta persone che sulla piazza si vedevano passare davanti la salma del papa, almeno venti puntavano fotocamere e videotelefonini. Erano certamente persone per bene, molto probabilmente con una fede religiosa. Ma le persone per bene di fronte alla morte tacciono, esprimono con un gesto il loro dolore, e se hanno una fede la dichiarano con un segno e un mormorio di preghiera. Si può riflettere anche su dettagli banali come questo. L’aggettivo più frequente nelle cronache di questi giorni è “mediatico”. Sulla figura del papa è stato costruito un apparato mediatico. Il papa ne ha fatto larghissimo uso e, alla fine, ne è diventato lui stesso oggetto d’uso. È quindi triste, ma non sorprendente, vedere che la sua vicenda umana si conclude non nel silenzio addolorato e fermo, ma in una raffica di flash e tra cori da stadio. Gianfranco Accattino |