REFERENDUM

Sì, no, ni e chemmefrega


L’articolo 75 della Costituzione (che regola il referendum e ne vincola l’esito al quorum) comporta una trappola logica che sfuggì all’attenzione dei padri costituenti.

Di fronte a un quesito di referendum abrogativo il corpo elettorale si divide in quattro settori: chi vuole l’abrogazione (li chiameremo i sì), chi non la vuole (i no), chi ha esaminato coscientemente il quesito e non trova alcun motivo prevalente né per abrogare né per mantenere (i ni), e infine gli ignoranti, nel doppio significato del verbo “ignorare”: o non sanno neppure che esiste il referendum o non vi attribuiscono alcuna importanza, diciamo che sono i chemmefrega.

Un paradosso trascurato dai costituenti

Le due ultime categorie non vanno a votare. Ma qui interviene il comma 4. Poiché «la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto», l’astensione dal voto contribuisce a ridurre il quorum, quindi a impedire l’abrogazione, quindi lavora per il no. Questa è una doppia ingiustizia: attribuisce ai ni la stessa opinione dei no, che essi non condividono, e sopravvaluta i chemmefrega, che non hanno opinioni, attribuendone loro una. Se almeno i ni volessero reagire ricorrendo alla scheda bianca o nulla, l’ingiustizia resterebbe, solo rovesciata, perché le schede bianche e nulle fanno aumentare il quorum e lavorano per il sì.

Tra le due prime categorie l’esistenza del quorum introduce una grave asimmetria. Mentre il ha un solo modo per farsi valere (andare al seggio e votare sì), al no si aprono due possibilità: stare a casa per tenere basso il quorum, oppure andare a votare no. La seconda via sembra la più ovvia ed efficace. Ma quella scheda con il no potrebbe essere proprio quella che fa scattare il quorum. Prosegue il comma 4: «...e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi». Si va allora al conteggio dei voti: se i no prevalgono, vince il no (quella scheda è stata inutile, stando a casa il risultato era lo stesso), ma se prevalgono i sì, vince il sì solo grazie a quella scheda no. Paradosso elettorale, da cui risulta che per i no il comportamento ottimo è l’astensione.

Segretezza in fumo

La gravissima conseguenza di tutto ciò è che la segretezza del voto va in fumo. Poiché gli unici che hanno razionalmente interesse a votare sono i , basta guardare chi entra nel seggio. Per garantire la segretezza bisognerebbe non solo impedire che si sappia come uno vota, ma se uno vota. Bisognerebbe cioè consentire all’elettore di presentarsi mascherato, oppure di rivelare pubblicamente come ha votato (perché altrimenti tutti direbbero che ha votato sì).

Paradossi su paradossi: perché il voto sia segreto, bisogna permettere il voto senza verifica, oppure perché il voto sia segreto bisogna che sia palese. Non c’è via d’uscita. Lo hanno capito benissimo quei padroncini che, come è stato verosimilmente narrato dopo il referendum sull’articolo 18, pretendevano dalle loro operaie l’esibizione del certificato elettorale “pulito”.

Un’altra grave conseguenza è che l’esistenza del quorum impedisce di verificare, in caso di mancata abrogazione, l’effettiva volontà popolare. Dal punto di vista legale, la vittoria del no per mancato quorum è equivalente a quella per prevalenza delle schede no. Ma nel primo caso sappiamo solo che i vincitori sono la somma dei no, dei ni e dei chemmefrega (tra loro indistinguibili), nel secondo sappiamo con certezza che i vincitori sono i no e che la volontà popolare ha trionfato.

Storia del quorum mancato

La trappola logica trascurata dai costituenti è in realtà sfuggita anche all’intera opinione pubblica per decenni. Nel 1974, quando si svolse il primo referendum abrogativo, nessuno del fronte del No si sognò di dare l’indicazione «State a casa», come accade oggi. Si sviluppò anzi un’intensa campagna per il no. Di quella campagna io ricordo soprattutto la grande difficoltà nello spiegare che chi diceva sì alla legge sul divorzio doveva votare no. I votanti furono l’88%, i no furono il 59% dei voti espressi. Il corpo elettorale si suddivise in 51% di no, 35% di sì, 14% di indifferenti. La volontà popolare di mantenere la legge fu evidente, come lo fu ancora di più sette anni dopo, riguardo alla legge sull’aborto.

Il primo quorum mancato si ebbe nel 1990 (caccia e pesticidi), seguirono tre referendum a quorum pieno, finché nel 1997 la partecipazione crollò al 30%. Anche i tre successivi referendum si sono chiusi con mancato quorum, il più recente (2003, articolo 18 ed elettrodotti) con meno del 26% di votanti. Si sono rinforzate reciprocamente da una parte l’astensione spontanea per l’effetto inflattivo di raffiche di referendum su argomenti spesso inaccessibili, dall’altra la presa di coscienza del meccanismo paradossale del quorum, con il quale il no sa di poter contare, più che sulla forza delle sue convinzioni, sulla massa inerte degli astenuti.

Vincere, non convincere

Tutto questo discorso, come si vede, prescinde dal contenuto del referendum, è un discorso generale ovviamente stimolato dall’imminenza del referendum sulla legge sulla procreazione assistita.

Oggi ad ammonire «State a casa» è il cardinale Ruini. Non dice: «Facciamo conoscere le nostre convinzioni, discutiamo, confrontiamoci e poi andiamo alle urne e contiamoci». Applica invece i criteri logici secondo i quali (come crediamo di aver dimostrato) l’astensione vince più del confronto. L’importante è vincere, non convincere. Non è male, per un personaggio e un’istituzione (la Conferenza Episcopale Italiana) che ritiene di avere un ruolo di guida morale per larga parte degli italiani. Ed è anche deprimente vedere che questa autorità morale non ha resistito alla tentazione dell’alleanza con il partito dei chemmefrega per poter correre i cento metri partendo venti metri più avanti. Un po’ di coda di paglia si vede spuntare, se è stato coniato il bell’ossimoro «astensionismo attivo», che passerà alla storia insieme alle «convergenze parallele».

Che fare? In attesa di una revisione costituzionale (peraltro non all’ordine del giorno) che abolisca il quorum e contestualmente innalzi il numero di firme per la richiesta di referendum, non ci resta che confidare nella maturità dei cittadini, che già hanno dimostrato in passato di voler contare e volersi contare, almeno sui temi fondamentali, e la procreazione assistita è uno di questi. E invitare sommessamente il cardinale a rileggere Matteo 5:37.

Gianfranco Accattino

 
 
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