REFERENDUM |
Una scelta per quattro sì |
Per seguire questa sintetica rassegna, è bene avere sott’occhio i testi della legge 40 sulla Procreazione Medicalmente Assistita (Pma) e dei quattro quesiti che si trovano su www.parlamento.it/parlam/leggi/04040l.htm e su cortecostituzionale.it/ita/attivitacorte/pronunceemassime/pronunce/ . I titoli sotto riportati corrispondono all’intestazione dei quattro quesiti referendari. Limite alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni. La legge 40 rifiuta la clonazione umana, ma, giocando su un’interpretazione approssimativa del termine, include tra le pratiche proibite anche la «clonazione terapeutica per trasferimento di nucleo», un procedimento che consente di produrre cellule staminali, da utilizzare ai fini della ricerca scientifica, senza passare attraverso la fase di produzione dell’embrione. La legge 40 vieta la ricerca sugli embrioni prodotti dalla Pma, se le finalità diagnostiche e terapeutiche che si propone non siano in grado di tutelare la salute e lo sviluppo dell’embrione. Questo implica il divieto della diagnosi preimpianto, volta a identificare la presenza nell’embrione di patologie ereditarie e lasciare alla donna la decisione consapevole di procedere o no all’impianto in utero. La legge 40 vieta il congelamento degli embrioni prodotti con la Pma. Si tratta di un divieto pleonastico, essendo già imposto dalla stessa legge l’impianto di tutti i (massimo tre) embrioni. Lo stesso articolo 14 che vieta la crioconservazione e la soppressione di embrioni si premura di richiamare (anche qui pleonasticamente) la legge 194, mettendo in evidenza la contraddizione e l’ipocrisia di una legge che, di fatto, suggerisce l’aborto come soluzione al problema di un embrione malato. Il sì a questo primo quesito elimina i tre divieti. Norme sui limiti all’accesso. La legge 40 consente la Pma solo in caso di infertilità. In realtà la Pma è stata e deve essere accessibile anche a coppie fertili, ma affette da patologie trasmissibili (per esempio la beta talassemia), allo scopo di riconoscere, prima dell’eventuale impianto in utero, un embrione malato. Anche in caso di sterilità, la legge vieta la Pma «qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci», e la consente solo quando siano stati applicati altri metodi di minore invasività. Si tratta di una velleitaria violazione dei diritti del malato e del medico: si vuole determinare per legge la prassi terapeutica, che dovrebbe essere il risultato del confronto tra le valutazioni responsabili del paziente e del medico che lo cura. La legge impedisce di revocare la decisione di ricorrere alla Pma dopo che si sia avuta la fecondazione dell’ovulo. Un’altra imposizione ipocrita, se si considera che la legge stessa evita di enunciare la logica conseguenza di questo principio: in caso di revoca oltre il termine, si dovrebbe, conseguentemente, procedere forzatamente all’impianto in utero. L’articolo 14, forse il punto cruciale dell’intera legge, stabilisce in modo univoco e semplicistico come deve avvenire la Pma: produzione di uno o due o tre embrioni e loro unico contemporaneo impianto, che può tuttavia essere rinviato (congelando gli embrioni) solo se reso impraticabile per gravi motivi di salute della donna. Di nuovo la legge si sostituisce alla scelta consapevole del medico che, come sappiamo tutti, deve tenere conto, nel decidere il numero di embrioni da produrre e impiantare, di svariati fattori: probabilità di successo, legata all’età della donna e alla capacità evolutiva degli embrioni (a loro volta dipendente dalla qualità dei gameti usati nella fecondazione), rischio di gravidanza plurigemellare e quindi pericolo per la sopravvivenza dei feti, sensibilità della donna a fronte di ripetute stimolazioni ovariche, eccetera. La legge rivela in questo articolo il suo intento punitivo nei confronti di chi non ne accetta le premesse ideologiche e religiose: se vuoi andare contro i miei principi, devi soffrire e cioè, in caso di insuccesso dell’unico contemporaneo impianto, non potendo ricorrere a embrioni in soprannumero, devi ripetere il trattamento dall’inizio. Esiste inoltre una lacuna logica: se l’impianto non avviene semplicemente perché la donna lo rifiuta, non viene detto (perché è impossibile dirlo, date le premesse) quale sia il destino degli embrioni, visto che la stessa legge ne impedisce la crioconservazione o la soppressione. Il sì a questo quesito restituisce la possibilità di scelte libere e responsabili ai soggetti coinvolti, riducendo sofferenze e rischi, aumentando la probabilità di successo, cioè di vita. Norme sulle finalità, sui diritti dei soggetti coinvolti e sui limiti all’accesso. Quesito coincidente con il precedente (Norme sui limiti all’accesso), con due punti aggiuntivi. Viene eliminato l’aggettivo «terapeutiche» dall’articolo 13, c3, b – e, soprattutto, viene abrogato l’intero articolo 1, compreso il richiamo ai «diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Questo richiamo non ha nessuna conseguenza pratica sul resto della legge, ma ne costituisce la dichiarazione d’intenti e ne rivela il fondamento su convinzioni religiose che, di per sé, non possono né devono poter diventare legge di tutti. La legge 40 dà per scontata e unanimemente accettata la definizione di «concepito» (a differenza di altre leggi europee, non vi si trova una premessa di definizione dei termini usati) ignorando come questo concetto sia di difficile definizione per la stessa embriologia. La legge è stata ispirata, più che dalle conoscenze mediche, dal Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale disinvoltamente parla di concepito e, addirittura, di «momento del concepimento» (Angelus Domini nuntiavit Mariae et concepit de Spiritu Sancto). Abrogare con il sì questa dichiarazione significa affermare un sano principio di relativismo etico, per cui le leggi riflettono la scelta consapevole dei cittadini e non l’ossequio a principi assoluti derivanti da un’autorità. Fecondazione eterologa. La scelta, ovviamente forzata, di ricorrere a un donatore o donatrice estraneo/a alla coppia per rendere possibile la nascita è troppo delicata e vincolata alle sensibilità intime dei componenti la coppia perché una legge possa forzare questa intimità con un divieto arbitrario. Lo stato dovrà, se il sì farà cadere questo divieto, intervenire con una specifica legge per dirimere il conflitto tra le eventuali rivendicazioni da parte del genitore biologico (peraltro già previste dalla legge attuale) e la necessità di tutelare salute e diritti del nato per fecondazione eterologa. G.A. |