DIECI ANNI DOPO |
Alex Langer, traditore dei pigri |
A dieci anni di distanza dalla drammatica fine di Alex Langer (suicidatosi il 3 luglio 1995), la lettura dei suoi scritti non ci può lasciare tranquilli. Appena infatti ci accingiamo ad applicare su Langer una delle nostre etichette, un suo successivo pensiero ci disorienta e ci costringe a rivedere le nostre posizioni. Le citazioni che seguono sono tratte dalla piccola antologia Il viaggiatore leggero, a cura di Edi Rabini, Sellerio 1996. Si può definire Alex come un sincero democratico? Certamente sì, fino in fondo, più di chiunque altro. La sua istintiva simpatia per le persone umili, portatrici di esperienze, più che di “posizioni”, la sua diffidenza per l’arroganza dei tuttologi (p. 80), la sua apertura appassionata per gli oppressi e i dimenticati di tutto il mondo, ne fanno un innamorato delle persone umane, una per una. Ma Alex è anche dolorosamente cosciente di dovere fare i conti con l’ideologia consumistica che non è limitata a una cricca di congiurati assetati di profitto e di distruzione, ma riceve quotidianamente un massiccio e pressoché plebiscitario consenso di popolo (p. 143) È un uomo di sinistra? Sì, fino al punto di dirigere in gioventù il quotidiano «Lotta continua» e di avanzare la provocatoria autocandidatura alla carica di segretario del Pds (p. 217). Ma ciò non gli impedisce di dichiararsi talvolta d’accordo col card. Ratzinger (p. 127) e con significative frange culturali della nuova destra (p. 140) o di riconoscere nel successo di Berlusconi un monito contro le culture politiche basate sul lamento (p. 218). È un economista? Sì, è un vero economista in quanto valuta i costi reali, quelli che incidono sulla vita della terra (p. 148), sul nostro effettivo benessere, sul futuro dei nostri figli. È perciò un impietoso dissacratore di un’economia che fittiziamente trasforma i costi in denaro rimandando il pagamento in là, ad altre aree geografiche, alle generazioni che verranno (p. 136), di un’economia che vive nei confronti del pianeta in uno stato permanente di insolvenza fraudolenta (p. 175). È un predicatore di austerità? Sì, in quanto si fa promotore di un’obiezione anti-consumistica (p. 134). Ma tale scelta non è guidata da una moralistica aspirazione a una vita di sacrifici; al contrario si tratta di una scoperta del gusto e della capacità di vivere contro i sacrifici imposti dal consumismo (p. 193), poiché di tale falsa ricchezza si può anche perire e il falso benessere è la nostra malattia del secolo (p. 142). Si tratta di sostituire all’onnipervadente citius, altius, fortius («più veloce, più alto, più forte»), un nuovo, autentico benessere fondato sul lentius, profundius, suavius («più lento, più profondo, più dolce», p. 146). È un pacifista? Tutta la sua vita, in particolare negli ultimi anni (Jugoslavia, Palestina, Cecenia) è stata dedicata alla pace, una pace per cui si lotta e si rischia sul posto (pp. 223-318). Il suo impegno è il contrario di un pacifismo accademico, dogmatico e facilone. È un tirolese? Così si è sempre fieramente definito; ma perseguendo con caparbietà l’obiettivo di un dialogo tra culture diverse, chiedendo ai suoi conterranei il coraggio di accettare di essere chiamati “traditori” (p. 31). E “traditore” lo è stato per tutta la sua vita, traditore del nostro desiderio di aggrapparci a qualche comoda e noiosa certezza, del nostro desiderio di inseguire il consenso dei conformisti di destra e di sinistra, della rinuncia fatalistica a essere portatori di speranza. Dario Oitana |