LIBRI
Attaccare la vittoria

«La vittoria è un equilibrio di sua natura instabile, perché è disuguaglianza» (p. 94). È, questa, una delle perle di saggezza disseminate nell’agile libretto che Enrico Peyretti ha da poco ripubblicato, aggiornandolo, per i tipi della Gabrielli. Il libro è «una raccolta di testi autorevoli, accompagnati da note e pensieri miei, sulla vacuità della vittoria in guerra e nei rapporti quotidiani», come scrive lo stesso autore nell’Introduzione.

Perché attaccare la vittoria? Perché attraverso di essa si veicola un modello di relazioni umane che, mutuato dal militarismo, si riflette su tutti i rapporti umani, vissuti, sotto la cifra della competizione, come gioco a somma zero: mors tua, vita mea; io vinco se tu perdi; per sopravvivere devo avere il dominio su di te.

«Se non sei più malvagio del tuo nemico non puoi fare a lui più male di quello che lui fa a te, perciò non puoi vincere, perché la vittoria è di colui che fa più male» (p. 38), scrive Peyretti commentando un’affermazione di Mussolini («Se non si odia non si può fare la guerra», discorso del 3 maggio 1943). Ma «se uccidi con la guerra il violento, diventi come lui, è lui che vince» (p. 91).

Dunque la vittoria è «l’illusione degli stupidi» perché non fa che alimentare un ciclo di violenza senza fine che oggi, nell’era atomica, può portare solo all’auto-distruzione. «La luce atomica illumina la guerra in ciò che è sempre stata: un’atroce stoltezza, in cui la morte vince sulla vita» (p. 62).

In questo percorso di smascheramento e demitizzazione dell’ideologia violenta della vittoria si delinea però anche un diverso paradigma di relazione, il modello alternativo della cultura della pace e della nonviolenza che, cambiando alla radice la cultura dei conflitti umani, interpreta la vittoria solo come «successo comune, conseguito insieme, non l’uno contro l’altro» (p. 23).

E il filo rosso della cultura di pace si può rintracciare in tempi e ambiti molto diversi: dalla massima buddista secondo cui «una vittoria può dirsi tale soltanto se tutti in egual misura sono vincitori e nessuno è vinto» (p. 61), alla lucida affermazione di Erich Fromm: «Obiettivo della strategia della pace deve essere, in antitesi con la strategia della guerra – ed è questa la cosa sostanziale – quello di impedire la sconfitta del nemico» (p. 72); dal comportamento di soldati che, come il tedesco Josef Schiffer, hanno «disfatto» la guerra gettandovi dentro semi di umanità e di giustizia (p. 80), a quelli che, come Alex Langer, hanno proposto il motto lentius, profundius, suavius («con più calma, più profondità, più dolcezza») per contrastare il «modello della gara», che informa il modo di vita dominante segnato dalla competizione ed espresso dal motto citius, altius, fortius («più veloce, più alto, più forte»).

Questo diverso modello, seppur soffocato da quello della cultura violenta dominante, ha già fatto parecchia strada, approdando, con lo Statuto dell’Onu del 1945, a fondare un nuovo diritto internazionale volto a «salvare le future generazioni dal flagello della guerra» e con l’articolo 11 della nostra Costituzione a ripudiare la guerra, non solo come offesa, ma anche come «strumento di risoluzione delle controversie internazionali», aprendo così la strada alla ricerca e alla sperimentazione di forme di difesa non armata e nonviolenta che sono state recepite anche nella nostra legislazione ordinaria (legge 230/98).

Certo molte di queste affermazioni a livello istituzionale restano per ora solo sulla carta, mentre l’esperienza che viviamo in questi anni è di una rilegittimazione della guerra come mezzo per «realizzare la democrazia» e «costruire la pace». Ma diventa sempre più evidente, a chi ha occhi per vedere, che, come ci ricorda Gandhi, «la democrazia e la violenza non possono coesistere. Gli stati che oggi sono formalmente democratici, o sono destinati a divenire apertamente totalitari, oppure se vogliono divenire veramente democratici devono avere il coraggio di divenire nonviolenti» (citato a p. 70). Non la vittoria, dunque, ma la nonviolenza è il «nuovo varco della storia» (Aldo Capitini).

Angela Dogliotti Marasso

• Enrico Peyretti, Dov’è la vittoria?, Piccola antologia aperta sulla miseria e la fallacia del vincere, Il Segno dei Gabrielli, Negarine di San Pietro in Cariano (Vr) 2005, € 10 (per richieste alla casa editrice: ).

 
 
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