MEMORIA |
Irene Bersani: curare il nemico |
È morta il 28 maggio 2005 suor Maria Irene Bersani. Nata nel 1931, laureata in lettere moderne nel 1958 presso l’Università del Sacro Cuore di Milano, suora comboniana nel 1961, ha insegnato per dieci anni in Eritrea, nel 1977 ha assunto la direzione di «Raggio», la rivista delle missionarie comboniane. È stata tra le prime persone che si sono battute per rendere l’informazione missionaria sempre più idonea al passo dei tempi. In un suo articolo su «Raggio» del giugno 2004, dopo aver descritto le torture nel carcere di Abu Ghraib, scriveva: «Infamante epilogo di un’emancipazione femminile che si era già suicidata nell’aver rincorso la parità col maschio assumendo l’uso delle armi. Quando una donna, nell’arruolarsi e andare in guerra e imparare ad uccidere, vede raggiunto l’obiettivo della parità, ha già distrutto (o non ha mai conosciuto) il senso della vera dignità sua e dell’uomo». Poi, raccoglieva questa notizia di qualità opposta, dai campi profughi del nord Uganda devastato dai ribelli: «Proprio in quella tragica cornice di orrori di cui pochi parlano, cogliamo una gemma incastonata: un particolare che rischia di scivolare inosservato». Scrive Irene che, nel maggio 2004, tra le vittime di un attacco contro il campo profughi di Pagak, 18 chilometri a nord di Gulu, oltre ai cadaveri degli ostaggi rapiti per trasportare il bottino e poi uccisi a bastonate nella foresta, sono stati trovati cadaveri di alcuni ribelli. Ecco la notizia: «Un altro ribelle è stato sepolto nella savana dopo essere stato trasportato a spalla da una delle donne rapite e che, nonostante tutto, stava cercando di fargli avere cure mediche». Questa informazione – scrive Irene – «sembra degna di essere scritta a caratteri d’oro. Una donna africana, profuga, di cui non conosciamo il nome né altri connotati se non quello d’essere stata rapita e soprattutto la dimensione del suo cuore così grande che, «nonostante tutto», riesce a vedere nell’assalitore ferito soltanto un uomo da curare. Versione moderna, al femminile, del buon Samaritano, o piuttosto della misericordia gratuita del Figlio di Dio che si fa carico del peccato dei suoi crocifissori. Nessuno dei grandi cronisti o dei registi mediatici di una abusata spettacolarità femminile, si occuperà mai di questa sconosciuta figura di donna che riscatta a se stessa, al ribelle ferito e all’umanità sconvolta, l’immagine originaria disegnata dal cuore di Dio per i suoi figli e figlie, di ogni etnia, classe sociale, ruolo, bandiera o ideologia. Noi sogniamo e vogliamo collaborare a far crescere un mondo di donne così, “nonostante tutto”». (sintesi da «La nonviolenza è in cammino», , n. 948, 2 giugno 2005). [ ] |