Ma io che c’entro?

C’era una volta un re che, avendo impalmato una sposa al momento di assumere un piccolo regno, dovette poi lasciarla, per le alte ragioni politiche e dinastiche che sono la croce dei re, da cui le persone comuni sono felicemente libere, per sposarne una seconda, in un più grande regno. Non era finita la storia. Assunto in un regno ancora più importante, una terza regina divenne la sua sposa, oggetto d’amore e scopo unico della sua vita.

Ora, sovvenendosi quel re del suo primo regale matrimonio, del quale ricorrevano appunto i venticinque anni, le cosiddette nozze d’argento, si compiacque di lasciare che i solerti cortigiani organizzassero grandi festeggiamenti per la fausta ricorrenza: una solenne cerimonia nel tempio, un concerto nel teatro regale, il più bello della capitale, con un discorso del primo ministro, un pranzo del re con tutti i funzionari e intendenti, e altri degni e felici omaggi. Pochi si accorsero che la regina, la terza sposa, mite e umile, persino troppo timida e silenziosa, dentro di sé pensava: «Ma io che c’entro, con queste nozze d’argento? Il mio augusto consorte festeggia se stesso e la sua regalità, non la nostra unione».

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