APPELLO AI PALESTINESI
La violenza non libera      (13 aprile 2001)

La violenza e la durezza israeliane le abbiamo tante volte denunciate. Altre volte, piccola voce fra tante, abbiamo fatto appello all’umanità degli israeliani. Ora ci rivolgiamo ai palestinesi. L’uccisione di una bambina israeliana di dieci mesi, è una cosa che finora i palestinesi non l’avevano fatta. La ripresa del metodo terroristico, ovviamente da parte di minoranze, non pare sconfessata dal governo di Arafat. I metodi violenti e terroristici, poiché devono essere gestiti in modo militaresco e antidemocratico, portano alla dittatura e impediscono la democrazia. È irreale ed ingiusto far pagare alla popolazione il terrorismo, come fa Israele. I terroristi sono sempre frange impazzite, mai movimenti popolari. Proprio per questo, la popolazione deve riuscire a dissociarsi da tali metodi, anche se il dolore e la disperazione possono spingere ad essi.

Se mai i palestinesi si libereranno con la violenza (ma questa può renderli ancora più sottomessi) non faranno nulla di nuovo, avranno un regime militare e non democratico, saranno la copia di vecchie vicende della storia violenta, ignoreranno la possibilità di essere liberi dall’oppressore interno (negli animi delle persone) oltre che da quello esterno. Proprio perché amici dei palestinesi dobbiamo criticare la fase attuale più violenta (oltre ciò che fa Israele, ovviamente), perché solo gli amici dicono le verità difficili.

Riportiamo qui anzitutto un “messaggio al popolo palestinese dalle donne israeliane”:

«In questi momenti difficili è importante per noi che sappiate che:

I soldati israeliani e i coloni israeliani non sono né i portavoce né i rappresentanti dell’intero popolo di Israele;

Noi condanniamo la disumana politica di uccisione e ferimento dei dimostranti, la chiusura dei territori, l’espansione degli insediamenti, le strade di collegamento (tra gli insediamenti e Israele, vietate ai palestinesi e che dividono ulteriormente i territori, n.d.r.), la demolizione delle case e gli anni di umiliazione e sofferenza inflitti al popolo palestinese;

Chiediamo la fine dell’occupazione dei territori palestinesi, lo smantellamento degli insediamenti israeliani, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale condivisa di due stati, la costituzione dello Stato di Palestina a fianco dello Stato di Israele basato sui confini del 1967;

Noi crediamo che il riconoscimento da parte di Israele delle proprie responsabilità nei confronti dei rifugiati del 1948 sia un pre-requisito ad una giusta e definita soluzione del problema dei rifugiati in accordo con le risoluzioni dell’Onu;

Noi ci impegniamo a fare tutto quanto ci sarà possibile per influenzare il governo israeliano affinché smantelli tutto l’apparato di occupazione e oppressione;

Noi, donne israeliane, ebree e palestinesi, in nome degli israeliani progressisti, uniamo le mani in segno di solidarietà con tutti quei palestinesi e organizzazioni palestinesi dei territori occupati che continuano a lottare per la nostra comune visione di pace, coesistenza e cooperazione in Medio Oriente.

Bat Shalom del Jerusalem Link, 25 marzo 2001».

E poi un documento delle Donne in Nero di Reggio Emilia: 

«Siamo partecipi e solidali con la lotta del popolo palestinese per:

– la fine dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi di Gaza e Cisgiordania, nel rispetto delle risoluzioni dell’Onu 242 e 237, disattese da oltre 30 anni;

– il diritto ad avere un proprio Stato libero e indipendente sulla terra di Palestina, come definito dai confini del 1967;

– il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati;

– il diritto dei profughi palestinesi al rientro e la ricerca di una giusta soluzione.

L”escalation della repressione israeliana, la politica aggressiva di Sharon e di Bush stanno esasperando la situazione e rischiano di portare alla guerra.

Ci addolorano e ci allarmano gli atti di terrorismo palestinese contro civili israeliani, che non possiamo condividere né sul piano etico né sul piano politico. Ma sappiamo che nascono dalla disperazione prodotta dalla violenza dell’occupazione israeliana, dal “terrorismo di stato” dei bombardamenti indiscriminati e delle uccisioni mirate di leader palestinesi.

Solo una pace giusta, nel rispetto della legalità internazionale fin qui violata da Israele, può fermare le violenze e garantire diritti e sicurezza ad entrambi i popoli. Per questi obiettivi si battono anche i movimenti pacifisti israeliani che lavorano per una “pace giusta”, a cui noi siamo vicine, e che sono oscurati dai nostri media.

Donne in Nero (telefax 0522/454832; e-mail: )

Reggio Emilia, 7 aprile 2001
 

Ed aggiungiamo qualche nostra sofferta considerazione.

Noi che abbiamo sempre compreso e sostenuto la causa dei diritti palestinesi, oggi che cresce la violenza da entrambe le parti del conflitto, facciamo appello anzitutto al popolo palestinese. Vi preghiamo di riflettere e di comprendere che l’uso della violenza, in definitiva, indebolisce sempre e non afferma mai i propri giusti diritti. E ciò non tanto per la reazione che provoca, di ulteriore violenza opposta, ma anzitutto perché tradisce e sporca le proprie ragioni, occulta e degrada il proprio diritto umano con azioni disumane, quale è sempre l’omicidio.

Tutti gli omicidi hanno questi effetti. Ma, tra gli omicidi, il peggio del peggio sono quelli che colpiscono persone innocenti di tutto, come sono indubbiamente i bambini e i ragazzi. I bambini vittime di questo conflitto, sia palestinesi che israeliani, obbligano tutti a ritornare in sé stessi, alla propria coscienza umana e civile, per abbandonare del tutto i metodi violenti, per sostenere le proprie ragioni con metodi ragionevoli, per affermare i propri diritti umani con mezzi umani. 

Quando l’arma sostituisce la parola, l’ascolto, il ragionamento e la trattativa onesti, allora la nostra umanità è smarrita. Lo sanno e lo insegnano le nostre antiche sapienze, ebraica, cristiana, islamica; lo sa e lo esige la moderna preziosa ricerca di passare da rapporti che premiano assurdamente la violenza invece del diritto, a forme di regolamento pacato e concordato dei conflitti, che danno la più alta probabilità di avvicinarsi alla giustizia col minor danno.

Il dolore, la frustrazione, la disperazione, non permettono di abbassarsi alla violenza indegna, ma richiedono una maggiore forza d’animo per riportare il conflitto disumano ad una questione tra esseri umani. Le violenze altrui, remote e recenti, l’«eccesso di difesa» da parte di Israele (tale è il giudizio generale nella comunità internazionale) non giustificano in nessuno il compiere altra nuova violenza. Né Israele per ciò che ha sofferto, per la fondata paura che ha del terrorismo, né voi Palestinesi, per la dura occupazione che patite, potete ancora proseguire su questa strada che infanga il vostro onore, le vostre due civiltà, le vostre religioni. La violenza aumenta le vostre sofferenze, in entrambi i campi, avvelena il futuro, deprime le possibilità di convivenza. 

La convivenza è il vostro comune destino e, diciamo pure, il privilegio che avete insieme di poter dimostrare al mondo, un giorno vicino o lontano, che la pace non è il dominio stabile del forte sul debole, o peggio l’eliminazione o l’espulsione del vinto, ma è soltanto la convivialità delle differenze. Se i due popoli di Israele e di Palestina sapranno riconoscere l’uno le sofferenze dell’altro, se si sentiranno accomunati nel bisogno di pace, allora cominceranno a rispettarsi ed ascoltarsi, e collaboreranno per il bene comune, che è la pace senza paura per i propri figli. Chi per primo comprende, inviti ed aiuti l’altro.

A voi Palestinesi, in particolare, noi vostri amici osiamo ricordare che la tradizione islamica, maggioritaria tra voi, contiene tesori ed esperienze di lotte e difese senza violenza, forti della forza umana che sola dimostra il diritto e costruisce la pace giusta. L’esperienza di Badshah Khan in India e Pakistan, gli studi di Chaiwat Satha-Anand, thailandese, l’azione di Mubarak Awad tra voi (sono solo i primi esempi che vengono in mente), dimostrano – contro il pregiudizio corrente dell’Islàm violento, che voi dovete sfatare – la realtà dell’azione e del pensiero della nonviolenza islamica. Questa è la vera forza, la forza nonviolenta, umana e chiara, ed anche efficace, che sola può affermare le vostre ragioni e guadagnare ad esse il sostegno internazionale, invece dell’orrore, della condanna e della solitudine che il terrorismo disperato e stolto attira sulla vostra causa. Può essere facile a noi, lontani dal fuoco e dal pericolo, dirvi queste parole. Ma può essere doveroso, proprio perché questo punto di vista può integrare il vostro, più sconvolto dal dolore.

Enrico Peyretti


 
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