LA NUOVA FRONTIERA DELLA BIOMEDICINA
Le risorse delle cellule staminali

Una cellula staminale è una cellula ai primi stadi di sviluppo, che non si è ancora specializzata; non ha ancora assunto cioè le caratteristiche tipiche di una cellula nervosa o di una cellula del sangue, di una cellula epatica o di una cellula dei muscoli. Le cellule staminali sono cellule non specializzate in grado di dividersi dando origine contemporaneamente a una cellula staminale (uguale alla cellula madre) e ad una cellula precursore di una progenie cellulare che alla fine darà a sua volta origine a cellule terminalmente differenziate (mature). Si definiscono totipotenti le cellule staminali che possono dar luogo a tutti i tessuti, multi (o pluri) potenti quelle che possono dar luogo ad alcuni tipi cellulari o tessuti, e unipotenti quelle che possono dar luogo soltanto ad un tipo cellulare. 

Ciò significa che una cellula staminale, in particolari condizioni, può svilupparsi e diventare o una cellula nervosa, o una cellula ematica oppure epatica, o una qualsiasi delle tante cellule mature e differenziate di un organismo. Si tratta quindi di mettere a punto le tecniche giuste per indicare alle cellule staminali come e in che cosa differenziarsi, per avere a disposizione una ricca fonte di cellule di ricambio capaci di sostituire le cellule malate di un organismo. Riprogrammare le funzioni del loro genoma consente di indirizzare la differenziazione cellulare dischiudendo nuove opportunità terapeutiche. 

Le malattie curabili. 

In parole povere, se si insegna loro a differenziarsi in cellule nervose, si spera di poter curare, fra l’altro, l’infarto, la sindrome di Alzheimer, il morbo di Parkinson, la sclerosi multipla, le malattie del midollo spinale. Se si insegna loro a diventare cellule del sangue, sarà possibile curare la leucemia, molti tipi di cancro, le immunodeficienze e le malattie ereditarie del sangue. E se si insegna loro a differenziarsi in cellule delle ossa, della cartilagine, del fegato, della pelle, della retina o dei muscoli che reggono lo scheletro, sarà possibile curare l’osteoporosi, le osteoartriti, le epatiti e le cirrosi, le ustioni, la degenerazione maculare degli occhi, la distrofia muscolare. 

Ora le fonti conosciute di cellule staminali umane sono quattro:
1) Alcuni tessuti fetali;
2) Gli embrioni, soprattutto quelli ai primi stadi di sviluppo, ossia i cosiddetti pre-embrioni;
3) Il sangue del cordone ombelicale; 
4) Alcuni tessuti di organismi adulti (midollo spinale, epitelio-pelle, retina, midollo osseo, cervello, gonade maschile); le cellule staminali adulte provvedono al mantenimento dei tessuti in condizioni fisiologiche ed alla loro riparazione in seguito ad un danno; ma questa capacità riparativa non è illimitata, a giudicare dalle patologie che compromettono la funzione degli organi nonostante il tentativo di rigenerazione. Tali cellule erano fino a pochi anni fa considerate tessuto-specifiche (unipotenti), poiché si riteneva che fossero specializzate nel generare cellule mature tipiche del tessuto di appartenenza. In realtà studi recenti hanno mostrato una inattesa plasticità delle cellule staminali adulte. Il caso più emblematico è rappresentato dal transdifferenziamento (“conversione”) di cellule staminali neurali adulte in cellule mesodermiche ematopoietiche (“produttrici di sangue”, quindi cellule sanguigne), da cellule del midollo osseo che possono dare origine a muscolo o a cellule epatiche, e da cellule muscolari che possono colonizzare il sistema ematopoietico. 

Il problema etico.

Mentre le ultime due fonti di cellule staminali non sollevano problemi morali, la questione etica subentra con le altre. Prendiamo il caso di tessuti fetali provenienti da aborti procurati: qualora si considerasse immorale l’aborto non terapeutico, è legittimo inserirsi al processo in corso per scopi buoni e terapeutici, ad esempio per 
curare malattie cerebrali? È lo stesso caso di un espianto di organi da un morto in un incidente stradale? Con cautela, sembra che si possa rispondere di sì. Chiamiamo questo il problema dell’ «inserimento» in medias res, a cose già fatte. Stante il fatto che in Italia l’aborto è legale, l’utilizzo di materiale fetale tratto da un cadaverino abortito non è fondamentalmente diverso dall’espianto di organi da un cadavere di un morto ammazzato. L’espianto-prelievo è legittimo, e non significa per nulla giustificare l’omicidio precedente. La moralità si giudica guardando in avanti agli scopi, obiettivi e conseguenze, e non guardando all’indietro all’eventuale immoralità iniziale. Ciò significa ad esempio che l’utilizzo di materiale fetale a scopo terapeutico è da considerarsi legittimo, mentre è da considerarsi immorale un suo utilizzo per produrre cosmetici. 

L’utilizzo degli embrioni sovrannumerari.

La stessa cosa vale per le cellule staminali embrionali. Tali cellule non vengono prodotte appositamente per la sperimentazione, ma vengono isolate a partire da precocissimi embrioni che già ci sono, essendo il frutto delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Come e perché? Detto in breve, si fa un’unica stimolazione follicolare sulla donna (comportando essa un rischio apprezzabile) per ottenere, diciamo, 15 ovuli. Si fecondano in vitro e se ne reimmettono 5 nell’utero per un primo tentativo; se ne hanno quindi a disposizione 10 per altri due eventuali tentativi, dato che la percentuale di riuscita non è superiore al 20%. Qualora però abbia buon esito il primo tentativo (con parti a volte plurigemellari), rimangono come prodotti in eccesso quei 10 ovuli, che fin dall’inizio sono stati crio-conservati (congelati). Nel giro di un lustro sono comunque destinati a decomporsi e ad andare incontro alla distruzione. 

Riprogrammare il genoma.

È sempre il suddetto problema dell’«inserimento», in cui ci si innesta ad un certo punto del processo per scopi buoni, anche se la prima parte di tale processo dovesse essere giudicata negativamente. Oltretutto le cellule staminali adulte non sono proprio totipotenti, ma solo multipotenti: il che significa che, prima di essere riprogrammate nella direzione voluta (ad esempio cuore o pancreas), devono essere sprogrammate rispetto al tessuto di appartenenza (ad esempio cellule staminali cerebrali tendono più a diventare neuroni, e non è facile far loro prendere un’altra direzione). Nulla di male se tutti i tessuti adulti contenessero cellule staminali; il guaio è che finora, come già detto, cellule staminali adulte sono state trovate solo in alcuni tessuti, per cui la fonte adulta è una fonte limitata di cellule staminali. Fonti migliori sono certamente il sangue del cordone ombelicale e i tessuti fetali, ed ancor di più le cellule staminali prelevate da pre-embrioni. Ed ancora, nel momento in cui cellule staminali adulte vengono sprogrammate (per poi essere riprogrammate) in che cosa differiscono da una cellula embrionale? 

Il rapporto della commissione Dulbecco afferma la differenza: «Un oocita, la cellula uovo femminile, ricostituito con il nucleo di una cellula somatica adulta non può considerarsi uno zigote in senso classico, in quanto non deriva dall’unione di due gameti (motivazione a nostro parere molto tirata per i capelli). A riprova di ciò sta il fatto che l’oocita così ricostituito non dà spontaneamente luogo allo sviluppo embrionale, poiché ciò può avvenire solo grazie a stimolazioni artificiali che lo forzano a svilupparsi in blastocisti... Si noti che l’oocita ricostituito può invece essere indotto a proliferare e incanalarsi verso la formazione delle sfere embrioidi, la cui differenziazione può essere indirizzata verso specifici stipiti cellulari». Quindi, in ultima analisi, l’oocita ricostituito con il nucleo di una cellula somatica del paziente (la cosiddetta «via italiana») è assai più simile ad una potenziale forma di espansione cellulare (per via asessuata) del paziente stesso. In altre parole, quello che si forma non è l’embrione, ma una cellula in grado di generare cellule staminali, con le stesse caratteristiche genetiche del paziente, risultando quindi immunologicamente compatibili. Infatti, affinché la terapia staminale possa risultare davvero efficace, deve essere risolto il problema del rigetto. Ciò avviene attraverso la «clonazione per trasferimento di nucleo», che non solleva alcun problema morale perché si tratta di una clonazione cellulare, cosa assolutamente diversa dalla clonazione di un organismo superiore. 

Mauro Pedrazzoli


 
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