INDISSOLUBILE, INFALLIBILE
Le parole e i fatti
La contrapposizione tra cultura e natura, come causa delle aberrazioni che minacciano il matrimonio: questo il tema dell’intervento del Papa all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Romana Rota il 1° febbraio scorso.

«Questa contrapposizione... lascia la cultura senza nessun fondamento oggettivo, in balìa dell’arbitrio e del potere». Ottimo spunto di riflessione.

Intanto notiamo quanto sia spiacevole sentir chiamare cultura un modello che si alimenta di 
arbitrarietà e prepotenza, in qualsiasi contesto si collochi, religioso o laico.

Vero è che cultura e intelligenza partecipano della stessa grandezza o della stessa miseria, con pari ambivalenza. Non per nulla la storia della cultura è complessa e piena di contraddizioni.Gli intraprendenti discendenti di Caino, insieme a tante cose geniali ed interessanti, hanno anche combinato non poche malefatte.

In realtà non sono essi i padri fondatori della cultura, la quale ha invece origine nel momento in cui Adamo è invitato da Dio a lavorare la terra e a dare un nome a tutte le creature. Lavoro e linguaggio: due strumenti della ragione, mediante la quale l’uomo, restando parte della natura, si pone a lei di fronte. Nell’uomo la natura esce dai suoi chiusi ripari e si apre agli orizzonti della libertà e della responsabilità, affrontando incertezze e rischi.

Nell’esperienza umana natura e cultura diventano così un binomio molto stretto. Qualche problema può sorgere. Ma v’è chi ci vede troppo facili contrasti come in una partita con duri scontri, e si candida al ruolo di arbitro, il quale, come si sa, deve procedere senza troppi dubbi, alternando sentenze giuste a clamorosi abbagli.

Ma torniamo ad Adamo che, insieme agli attrezzi per il lavoro manuale, inventa le parole, strumenti del pensiero. Adamo in persona si rivolgerà così a Dante:

Opera naturale è ch’uom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi, secondo che v’abbella.
(Par. XXVI, 130)

Perciò tante lingue. Perciò in una stessa lingua tante variazioni e disinvolte approssimazioni.

Le parole non vogliono soltanto essere veritiere, ma anche gradevoli. Se la realtà non è del tutto soddisfacente, le parole si sforzano di migliorarla. Così fioriscono gli eufemismi pietosi e quelli presuntuosi. Il vocabolario è disseminato da una serie di aggettivi, che desiderano rafforzare la realtà giudicata poco robusta e di scarsa virtù.

Ed ecco parole come infrangibile, immutabile, inviolabile, indissolubile, indiscutibile e simili. Esse pretendono di significare che «non è possibile» spezzare, violare, discutere, e così via. Tuttavia sappiamo bene che il velleitario «non è possibile» va di fatto sostituito dal più moderato «è difficile». Oppure dal più imperativo «non si deve».

Non saranno però alcune approssimazioni per eccesso a compromettere la comprensibilità del nostro linguaggio. Succede tuttavia che l’esuberante «non è possibile» diventi in qualche caso più cocciuto e superbo, pretendendo un valore assoluto mediante un intervento giuridico o dogmatico. Intervento che, pur non modificando la realtà oggettiva, rende più complicato il nostro rapporto con essa.

È giusto, è ovvio, è bello che un legame coniugale sia indissolubile, finché rimane fondato sul libero consenso, sulla solidarietà e sull’amore. Se però tale fondamento viene meno, è a dir poco insensato continuare a chiamare indissolubile un legame che non esiste più.

«Eufemizo» significa dire parole di buon augurio. L’ideale del vincolo indissolubile, lasciato nella sua beneaugurante ed esigente ingenuità, nell’animo consapevole diventa decisione e progetto, speranza e dovere.

La parola sognante da sola non basta, quindi si fonde con l’impegno serio e responsabile. La grazia corrobora questo impegno, che è la struttura interna e portante della costruzione. Perciò se un matrimonio fallisce non valgono i puntelli esterni. Tanto meno servono le finzioni che dichiarano nullo ciò che è stato, e sempre valido ciò che non c’è più.

Per chi ama i segni notiamo che un matrimonio sbagliato può ricordare le incoerenze e le infedeltà della chiesa verso il Signore. A tutti però è dato di convertirsi e ricominciare, anche nella chiesa.

Il Signore sostiene chi è prostrato, accoglie chi ha sbagliato e sofferto, evitando accuratamente di proferire giudizi implacabili o definizioni inflessibili, perché l’uomo conta più della legge.

Perciò si torna a sperare e ad amare, avendo capito meglio che la realtà è più concreta e la verità più umile di certe parole, che però non vanno cancellate, perché ancora utili nel nuovo cammino, come le aspirazioni legittime e le mete raggiungibili. Andavano lasciate come sono quelle parole. Non dovevano essere drogate dal potere ed asservite ad una cultura del cui «fondamento oggettivo» si è indotti a dubitare. Una cultura che fa prosperare il loglio dell’ipocrisia meglio del grano buono della sincerità.

E se l’errore è commesso da chi si dichiara infallibile? Siamo di solito generosi nel considerare infallibile un tiratore scelto che due o tre volte su cento non coglie il bersaglio. Ma egli stesso riconosce la fallibilità della sua mira. Usare la stessa generosità risulta più difficile nei confronti di chi non vuole fare sconti alla sua infallibilità.

Secondo Pio XII, se i Sommi Pontefici negli atti del loro magistero, sia straordinario, sia ordinario, intervengono in materia controversa, tale questione «non può più costituire oggetto di libera discussione fra i teologi» (Humani generis).

Infallibile: ecco come un’altra parola, di per sé solo un po’ esagerata come tante altre, ma tutto sommato innocua, diventa un bastone castigatore.

L’intelligenza e la libertà, il confronto fraterno e lo spirito ecumenico sono serviti.

È stato detto che le parole durano più dei fatti. Si riferivano alla poesia celebrativa di grandi imprese.

Altre parole, boriose e paludate, celebrano la presunzione, e benché più volte smentite dall’esperienza e dalla storia, continuano ad inseguirci.

Anche questa, a modo suo, è cultura.

Fioravante Mascariello

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