LETTERE |
Guerre vicine |
Cari amici, dato che sto meditando a distanza con voi sulla situazione israelo-palestinese, aggiungo una circostanza. Per la prima volta nella mia vita conosco personalmente qualcuno che è coinvolto in un servizio militare in situazione prebellica e che dovrebbe far la guerra se, Dio non voglia, scoppiasse. Si è laureato qui in Italia. Si è trasferito a vivere in Israele con la moglie, anch’essa italiana; hanno due bambine piccolissime (e bellissime, in fotografia). Lavora, prepara un dottorato, si occupa dei diritti umani. Abita a Tel Aviv, a poca distanza dal luogo dove c’è stato l’attentato. È stato richiamato in servizio militare, come tutti. Fa un altro effetto conoscere qualcuno, ve l’assicuro. Qualcuno che per le leggi e le alleanze italiane di pochi decenni orsono sarebbe finito con moglie e bimbe in una camera a gas. Qualcuno che sa di essere circondato da odio nella sua patria, nella terra dei suoi padri. Qualcuno che deve rischiare la vita, per vivere in un paese dove essere veramente sicuro che essere ebreo non pos-sa essere mai motivo di persecuzione. Non gli potrei davvero dire che è dalla parte del torto. Quale "torto"? So che "dall’altra parte" le situazioni esistenziali sono analoghe, se non peggiori. Ma non mi sembra che i miei conoscenti dovrebbero andarsene o morire. Mi sembra che meriterebbero la pace, che vogliono, anche se nessuno per ora sa come realizzarla.
lettera firmata
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