TEODICEA (2) |
Satana e le streghe |
Mentre il dualismo radicale (due principi equipotenti) non ha trovato posto all’interno dell’ortodossia cristiana, lo ha fatto invece il cosiddetto "dualismo mitigato": esso presuppone un unico principio superiore da cui deriva, per un evento che si sarebbe verificato nei primordi del mito, un secondo principio che si situa su un piano inferiore (demiurgo o Satana). Per noi è importante il mito della caduta di Satana. Normalmente si considerano oggi come sinonimi "Satana", il "diavolo" (sempre al singolare nella Bibbia) e i "demoni" (il cui principe è Beelzebul), anche se non lo erano per nulla in origine, e negli stessi scritti biblici non sono entità ben rigide, impiegate in modo identico e univoco. Ad es. il diavolo, o il suo presunto sinonimo Satana, non è oggetto di esorcismi nei Vangeli, ma è il "forte" antagonista di Gesù e di Dio stesso. Sono invece oggetto di esorcismo i demoni (la loro "cacciata"), di cui nel N.T. si parla molto più frequentemente che del diavolo. Per quanto poi concerne gli scritti paolini, è sintomatico che Paolo, pur parlando così diffusamente del potere del peccato, non si riferisca espressamente al diavolo (anzi non ne parla mai: è menzionato solo nella Lettera agli Ebrei, nelle pastorali e nella Lettera agli Efesini, che appunto non sono di Paolo). Ciò significa che nel quadro antico il diavolo/demonio/Satana costituiscono il rivestimento mitico e la personalizzazione fantastica del "peccato"tout court? E che vanno quindi demitizzati come simboli del peccato e del male morale? Male diabolico? Comunque sia, nella storia delle religioni la credenza in poteri cattivi personali, come demoni e diavoli, è un fenomeno universale (certo si ha pure la credenza in poteri buoni, come certi spiriti benigni). Vi confluiscono chiaramente angosce ed esperienze, proiezioni e meccanismi di difesa che risultano connotati dal contesto storico-sociale. Queste potenze esercitano la loro influenza tanto sul destino dell’uomo che sugli eventi della natura. Le potenze maligne producono mali naturali, come le malattie e le catastrofi naturali, ma si mostrano anche impegnate a sedurre gli uomini, a indurli a compiere il male. La storia della pietà e della teologia ebraico-cristiana-islamica testimonia diversi tentativi volti ad addossare la responsabilità del male e le sue conseguenze al diavolo o Satana, loro vero autore. Satana non gode di un potere uguale a quello di Dio, anzi, stando alla dottrina tradizionale, all’origine il diavolo sarebbe stato creato da Dio come angelo a servizio del creatore. Per superbia e invidia, insieme alla sua corte (di "demoni"? Per gli uomini dell’epoca antica e neo-testamentaria, il nesso per noi così ovvio tra demoni e Satana non era evidente!) si sarebbe ribellato e allontanato da Dio, conducendo la sua sciagurata esistenza sulla terra o in zone sotterranee. Inizialmente la caduta di Satana era situata dopo la creazione dell’uomo; in Origene invece la caduta vien fatta risalire a prima della creazione dell’umanità. Il diavolo è incessantemente impegnato a tentare gli uomini al male, ad ampliare la sua sfera di influenza e di potere, a contrastare i voleri di Dio. Rimane pur sempre una creatura di Dio, e rimane in ultima analisi sottomesso all’onnipotenza divina, pur con la temporanea licenza di comportarsi come avversario di Dio e tentatore degli uomini, seminando odio e discordia. Alla fine Dio riporterà la vittoria e segnerà la fine del potere di Satana (millenarismo). Nella tradizione cristiana domina l’idea che l’opera redentrice di Cristo ha ormai definitivamente sconfitto Satana, cui solo in questa età intermedia è concesso di esercitare un certo qual limitato potere (la guerra è vinta, ma le battaglie continuano). Satana sta alla testa di un esercito in stato di guerra con Dio, e cerca di allontanare gli uomini da Lui; è uno 007 con temporanea licenza di uccidere. La sua azione è evidentemente permessa da Dio, che però sarebbe fondamentalmente in grado di impedire all’avversario di fare del male. Un rapporto giuridico. Per quale motivo il principio buono e onnipotente dovrebbe lasciare campo libero all’avversario cattivo? Forse per mettere gli uomini alla prova, precipitando così nel moralismo sadico? Non dovrebbe invece impedire a Satana (o ancor meglio avergli impedito fin dall’inizio) di operare il male e di causare tante sofferenze? La critica ai sistemi dualistici non può riferirsi semplicemente ai loro rivestimenti mitologici, ai loro involucri mitici spesso orripilanti (come la rappresentazione iconografica del demonio). È la sostanza stessa che appare oggi inconsistente, mitologica, indifendibile. Una entità "buona", che potrebbe venire in soccorso degli esseri umani ma che per sue ragioni preferisce non farlo, autorizza a dubitare radicalmente della "bontà" di questo essere; l’intera problematica di teodicea non fa alcun passo in avanti, anzi regredisce mitologicamente su posizioni logicamente incoerenti e insostenibili. La convinzione che la responsabilità del male e della sofferenza vada addossata a Satana potrà alleviare l’uomo, non però Dio; se Satana è una creatura di Dio, il problema di teodicea si ripropone in tutta la sua esplosività, aggravato poi da una serie di speculazioni sul complesso rapporto di tipo giuridico che si stabilirebbe tra Dio e Satana. I miti che si sono sviluppati in un tale contesto presentano spesso aspetti fantasiosi e grotteschi, come quell’interpretazione, non certo marginale (e presente nella patristica), per cui Satana vanterebbe un diritto di proprietà sugli uomini (a causa del peccato originale), e la redenzione consisterebbe in primo luogo in una specie di negoziazione giuridica tra Dio e Satana, dove Gesù Cristo ha saldato il debito e con la sua passione innocente ha riscattato dal potere di Satana il genere umano; o addirittura avrebbe ingannato lo stesso Satana, che si sarebbe lasciato scappare la condanna di un innocente, perdendo così i propri diritti. Dai 7 peccati capitali al decalogo. Tra il 1400 ed il 1600 si è prodotto un importante cambiamento nel sistema morale della cristianità: si è cioè passati dal regime dei 7 peccati o vizi capitali al decalogo (grazie soprattutto al Catechismo romano del Concilio di Trento, 1566, che da allora fu alla base di tutti i catechismi cattolici seguenti). L’affermazione che per il cristiano medio il decalogo costituisse nel 1600 una I 7 peccati/vizi (superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia) costituiscono un elenco di origine non cristiana, bensì greca, e non è escluso astrologica. Erano un utile bagaglio di categorie grazie al quale il popolo dei fedeli poteva identificare queste passioni come non-cristiane, in un’etica di carattere sociale e comunitario. Le caratteristiche salienti dei 7 peccati sono le seguenti: a) si dà scarsa importanza agli obblighi verso Dio rispetto a quelli verso il prossimo, le offese a Dio sono o sembrano meno gravi delle offese al prossimo, e l’oggetto è comunque l’amore al prossimo; b) è un sistema di indicazioni più che un codice vero e proprio, riguarda la morale e non il rituale, è a-religioso e a-sacrale, e non risalente alla Scrittura; c) l’etica dei 7 peccati è materia di ragione più che di fede, e non è espressione diretta e specifica della volontà legislativa di Dio. Viceversa il decalogo, in quanto sistema morale della cristianità, si caratterizza per le seguenti peculiarità: a) annette una maggiore importanza alle offese e agli obblighi verso Dio (preminenza della prima tavola rispetto alla seconda); b) è una vera e propria legge/codice con obblighi in generale più precisi, rigorosi, vincolanti; c) contiene tanto il rituale che la morale, è religioso e sacrale, nonché risalente alla Scrittura (anche se modificato per fungere da contenitore di un po’ tutta la morale); d) è materia di fede più che di ragione, ed è espressione della volontà legislativa di Dio; e) il peccato è ribellione alla Parola di Dio, con la preminenza, rispetto ad altre forme di consapevolezza morale, di quelle esplicitamente verbalizzate. Ora, una conseguenza dell’etica del decalogo fu quella di considerare l’idolatria (inesistente nei 7 peccati), o la falsa venerazione o "religione", come l’infrazione primaria del cristiano dalla quale finiscono per derivare tutte le altre. Ne deriva anche un cambiamento per lo status del diavolo: secondo il regime morale precedente il diavolo era l’esatto contrario di Cristo, era il Malvagio che insegnava l’odio universale; ma, in seguito all’adozione del nuovo sistema morale, diventò l’esatto contrario del Padre: fonte e oggetto di idolatria e falsa venerazione. A partire grosso modo dal xv secolo, il demonio e la stregoneria acquistarono nella mentalità popolare una rilevanza e un carattere che non avevano mai posseduto. Vigente il regime dei 7 peccati, la stregoneria consisteva nel recar danno al corpo e ai beni del prossimo con mezzi occulti; ma col nuovo regime morale la stregoneria diventa un’infrazione del primo comandamento e un’apostasia dalla fede cristiana. I principi ispiratori della caccia alle streghe all’inizio dell’età moderna, nonché la costruzione di un castello teorico in base al quale identificare la strega con chi pratica il culto del demonio, furono un’orrenda elaborazione a partire da questo primo passo: così la sindrome da strega esercitò la sua malia. Nel nuovo modello di strega si tratta abitualmente di una donna che esprime in maniera tipica la disubbidienza a Dio e la resa a Satana, e ciò ancor prima di produrre qualsiasi effetto malefico. In conclusione la figura di Satana nel contesto della teodicea non favorisce nessun plausibile avanzamento; il concepire un potere malefico extra-umano sposta solo il problema della bontà originaria (derivante direttamente da Dio, perché, lo ripetiamo, ci muoviamo ancora in un quadro antico e medievale) del creato e delle creature dall’uomo all’angelo (poi decaduto), senza risolvere alcunché. Non possiamo più arretrare su posizioni pre-bultmanniane, come non possiamo più rimanere su posizioni pre-evolutive, pre-relativistiche e pre-quantistiche. Mauro Pedrazzoli (continua) |