A OTTO ANNI DALLA MORTE
Tonino Bello
Il 20 aprile è caduto l’ottavo anniversario della morte di Tonino Bello, vescovo di Molfetta, presidente di Pax Christi dal 1985 al 1993. Mi piacerebbe che venisse ricordato, assieme con altri testimoni, sia nelle parrocchie che presso le associazioni giovanili. A mio parere, la sua figura di profeta gentile ci aiuta a costruire il futuro. Il suo pensiero è immenso. Tormentato e sereno. Rigoroso e poetico. Mi limito a tre aspetti:

1. Per don Tonino, la pace è shalom, beatitudine dinamica, dono e conquista, pienezza di beni, novità di vita. Essa costituisce la sostanza del Vangelo: "quello della pace – egli diceva –è il discorso teologico più robusto e più serio che si possa fare". Affonda le radici nel cuore del sistema trinitario e nella vita di Gesù Cristo. Anzi, la pace è proprio una persona, il Cristo risorto che saluta i discepoli impauriti: "pace a voi". Da quel momento la luce della resurrezione coincide con l’annuncio di pace. La fede nella resurrezione si identifica con la speranza di pace che va "osata" sulla Parola di Cristo. "In piedi, costruttori di pace", egli affermava: davanti al Risorto non è lecito stare se non in piedi! Richiamandosi a Isaia (52,7) – "come sono belli i piedi di coloro che annunciano la pace"– don Tonino contrapponeva il camminare continuo alle astuzie politiche, ai calcoli salottieri, ai discorsi sedentari. Citando Matteo (10, 7) – "strada facendo, predicate che il Regno è vicino" – egli incalzava : "strada facendo!" quasi a dire che "la pace è un itinerario sempre incompiuto", che "il cantiere della pace vera ferve là dove si snoda il traffico della vita quotidiana".

2. Per don Tonino la dimensione trinitaria, la realtà delle tre persone uguali e distinte, custodisce "il segreto della pace". Rappresenta "l’archetipo morale della comunione umana". Fonda l’etica del volto. "Le guerre, tutte le guerre, da quelle interiori a quelle stellari, trovano la loro ultima radice nella uniformizzazione dei volti. Nella dissolvenza dei volti. Nella perdita dell’identità personale. Nell’incapacità di guardarsi negli occhi". La pace, allora, diventa "ricerca del volto, non della maschera. Scoperta del volto, non lettura della sigla. Contemplazione del volto, non gelida presa d’atto della funzione. Accarezzamento del volto, non adulazione cortigiana del ruolo. Rapporto dialogico tra volto e volto, non litigiosità feroce tra grinta e grinta".

3. La pace o, meglio, la nonviolenza significa convivialità delle differenze. Con questa stupenda espressione don Tonino ha rivelato, a mio parere, il significato più profondo del termine nonviolenza che, in italiano, traduce malamente, perché solo negativamente, il contenuto della gandhiana satyagraha. Nonviolenza vuol dire forza della verità che accoglie, esistenza conviviale. Don Tonino l’ha incarnata nella marcia verso Sarajevo, durante l’infuriare di una guerra fratricida. Parlando in un cinema senza luce elettrica e con la voce minata dal male che poche settimane dopo l’avrebbe consumato, il 12 dicembre 1992, proprio a Sarajevo, così descriveva alcuni incontri casuali: "ricordo il gesto di una donna serba che offre il pranzo a dieci croati... Ricordo un signore che ci ha invitato a partecipare al banchetto per la commemorazione del padre. Ci ha detto: "io sono serbo, mia moglie è croata, queste sono le mie cognate musulmane". Mangiavamo insieme. Io ho pensato alla convivialità delle differenze: questa è la pace".

Sergio Paronetto

 
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