LETTERA APERTA
Caro amico poliziotto

Caro amico poliziotto, un sindacalista della polizia ha detto che deve cessare la “campagna di odio” verso di voi. È giusto. L’odio fa male a tutti, anche a chi odia, non solo all’odiato. “Ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo rende ancor più inospitale” (Etty Hillesum). Per que-
sto ti chiamo amico. Anche dopo i fatti di Genova. 

Chi protesta contro le ingiustizie gravissime che regnano nel mondo non deve odiare e colpire voi, neppure quando siete comandati a difendere i potenti del mondo, come a Genova. Ma anche chi protesta non deve essere odiato e colpito. È giusto che voi gli impediate di fare violenza, usando il minimo di forza necessaria per fermarlo, ma senza colpirlo e ferirlo. Forse però qualcuno vi ha detto, ingannandovi, che quelli sono nemici della società. Se cerchi di conoscerli da vicino vedi che essi, nella massima parte, lavorano ogni giorno, senza manifestazioni, per costruire una società mondiale migliore, meno ingiusta, anche per te e per i tuoi figli.

A parte la tragica morte di Carlo Giuliani, centinaia di testimonianze e di immagini dicono che a Genova alcuni (sempre troppi) di voi – poliziotti, carabinieri, guardie di finanza – hanno picchiato e offeso nel fisico e nel morale persone che non facevano alcuna violenza, persino anziani e ragazzi, o persone arrestate. Tutti sappiamo bene che questa è una vigliaccata. Chi ha agito così ha tradito l’onore della vostra professione, che è la difesa dei diritti umani.

Non vale dire che quelli hanno perso la testa. Il vostro delicato lavoro esige di essere capaci di non perdere la testa neppure davanti alla minaccia e alla violenza, come il marinaio non deve aver paura del mare. Con chi, poi, non fa violenza, ed è inerme, quei comportamenti non hanno scuse. Naturalmente, è responsabile come quelli che hanno agito male, chi li ha mandati impreparati, chi li ha eccitati contro i manifestanti, chi gli ha messo in mano pallottole vere, come se fossero in guerra. 

A Genova alcuni (sempre troppi) di voi hanno insultato i manifestanti inneggiando a Mussolini, a Hitler, a Pinochet. Tu sai bene quanto male hanno fatto questi personaggi violenti contro l’umanità di tutti noi, anche contro di te e le persone che tu ami. Che ci siano dei poliziotti, anche pochi, che si dicono nazisti e fascisti, è una vergogna per tutto il nostro Paese, per le forze dell’ordine in modo specialissimo. Se uno di voi venisse scoperto complice di ladri o assassini, verrebbe espulso. Proclamarsi nazifascisti, o è segno di ignoranza ed incoscienza, o è grande indegnità morale: in ogni caso non si può servire l’ordine e la giustizia inneggiando alla violenza, alla sopraffazione e alla morte, di cui Hitler e Mussolini sono stati alfieri nel ’900. Non odiamo neppure loro, miserabili, ma giudichiamo le loro azioni.

C’è il timore, visti certi fatti, che la mentalità fascista sia diffusa tra voi. Questo non ha spazio nell’Italia rinata rifiutando la dittatura e l’ammirazione fascista per la prepotenza. Le regole democratiche di convivenza civile, che voi difendete, sono il contrario del fascismo. In questo momento, gli onesti e democratici tra voi possono smentire quel timore dissociandosi da quei colleghi che hanno compiuto a Genova violenze su inermi. Se conoscete casi e nomi, avete il dovere di denunciarli, anche per salvare il vostro onore intaccato. Chi non denuncia reati che conosce, compie un reato di favoreggiamento. Più dello spirito di corpo, vale la difesa delle vittime di prepotenze, che è l’etica fondamentale della vostra professione. 

Non deve esserci campagna di odio verso di voi, neppure dopo i tristi fatti di Genova. Deve esserci colloquio franco e sincero, come sto cercando di fare ora con te, per aiutarvi nel vostro delicato e difficile compito. Forse troppi di voi non sono addestrati nel modo migliore. Per la vostra funzione civile c’è un grande bisogno di educazione civica, di conoscenza della storia reale, storia di dolori, di immense sistematiche ingiustizie, di ricerca della giustizia. 

Se hai sentito voci di odio nei vostri confronti, sappi che tra i tanti che hanno subito repressione violenta c’è chi, terrorizzato, non riesce ancora a distinguere il singolo poliziotto colpevole da tutta la polizia. Del resto, tanti tra voi non hanno saputo distinguere i manifestanti aggressivi e violenti dai manifestanti pacifici. In ogni caso, non si deve odiare le persone, perché l’odio è un tossico che degrada chi lo maneggia. Lo sdegno e la condanna delle azioni ingiuste non deve diventare condanna di una categoria di persone.

C’è un’iniziativa importante, in aiuto al vostro lavoro: una proposta, che viene ora presentata anche ai legislatori (speriamo che sappiano capirla), per istruirvi e addestrarvi ai valori e ai metodi della nonviolenza. La nonviolenza – come forse già  sai – non è la mollezza, non è la non-difesa, ma è invece l’intervento nei conflitti umani con la forza dell’animo, della chiarezza, della sincerità, del rispetto per l’avversario e anche per chi sbaglia, per ricondurlo alle regole dell’umanità e 
della giustizia. 

Se vedi che un tuo amico, o un tuo familiare, sta per commettere un atto di prepotenza e sopraffazione, che tu sai ingiusto e inammissibile, tu lo fermi, ma non con odio e violenza. Lo fermi con il minimo necessario impedimento fisico, e intanto gli parli per ricondurlo alla ragione e al rispetto degli altri. In questo caso sei già perfettamente capace di usare la nonviolenza. Così, quando un genitore corregge e castiga il suo bambino, gli dà un dispiacere, ma lo aiuta ad educarsi; se invece lo picchia, se lo offende e lo umilia non è un buon genitore, perché lo fa crescere triste e cattivo, e se lo troverà contro. Quello che sai fare con il tuo amico è il tuo lavoro con tutti i tuoi concittadini, con tutti gli immigrati nel nostro Paese, che sono i più indifesi cittadini del mondo. Invece, le polizie violente dei regimi non democratici sono loro stesse delinquenti, con l’aggravante di abusare della forza pubblica, che ha l’unico scopo di servire i diritti di tutti, anche di chi va corretto perché sbaglia.

Per imparare a lavorare da poliziotto democratico,  occorre un lavoro non breve per autoeducarsi, per conoscere come gestire in modo non distruttivo ma costruttivo i conflitti umani, per ascoltare simili esperienze preziose. È ciò che già fanno i migliori tra voi – e lo si è visto persino a Genova, – quindi è possibile: lo potreste fare tanti, tutti, non solo per merito personale, ma se foste bene addestrati a servire l’ordine pubblico in modo del tutto democratico, cioè a difesa dei diritti umani dei più deboli, e non delle pretese dei più forti.

Da amico, ti auguro una bella carriera nel tuo delicato importante lavoro, a servizio dei rapporti umani e sociali  giusti.

Enrico Peyretti
 


 
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