DISCUSSIONE |
Il cristianesimo sta morendo? |
La recensione del saggio di Bellet, la riflessione di Papuzza e la nota sul Denzinger che seguono sono“propedeutici” alla pubblicazione sul prossimo numero della discussione a più voci sulla “fine del cristianesimo” che si è svolta tra i redattori del foglio a Cremolino il 15 luglio scorso.
Tre autori rispondono alla domanda se il cristianesimo stia morendo: Maurice Bellet, Massimo Cacciari, Carlo Molari. Mi limito qui a riferire le pagine del primo, filosofo con formazione psicoanalitica, che studia i rapporti tra religione e società (raccomando pure i suoi due libri Cristianesimo, dice Bellet, può significare il Vangelo, o un sistema religioso imponente come quello cattolico, o l’influenza cristiana sulla società. Fin dall’inizio, il Vangelo è una duplice rottura: con la fede giudaica, con il mondo pagano. Oggi, nei confronti del cristianesimo storico, ci troviamo come i primi cristiani nei confronti di Israele: una rottura che non era negazione, ma un cercare la verità della verità. Ma, soprattutto, il Vangelo è la rottura necessaria tra la vita e la morte, tra ciò che è per la vita degli uomini perfino nella loro morte, e ciò che è per la morte degli uomini perfino nella loro vita. Prendere il Vangelo sul serio è un compito infinito, che richiede anzitutto di far finire il dualismo tra credenza e critica, catastrofico per la fede. Dovremo essere credenti critici – critici del cristianesimo e della società –, anche perché siamo in relazione con ex-cristiani, che ci dicono: “Ti abbiamo già ascoltato”. Dovremo riscoprire che il Vangelo non è una religione (riti, obblighi, convenzione sociale, paura, soggezione, superstizione, assicurazione), ma è invece la genesi dell’essere umano, là dove l’uomo impara a diventare umano. Quale tipo di uomo nascerà? Occorre un modo di pensare e di essere che permetta agli uomini di sopportare di esistere come esseri umani. Quel tipo di uomo dovrà riprendere le cose dal principio. Allora potrà scoprire che il Vangelo è il dono di vivere liberi dalla morte, di sapere che non siamo condannati a vivere per la morte. È la notizia di un uomo “che non si è fatto complice della crudeltà anche quando si trovava nell’abisso della crudeltà”: questa è una definizione del Cristo. In un tale modo di vivere si vede il Dio della vita. Vivere così è ciò che nei vangeli è chiamato Regno di Dio. Siamo liberi dalla morte – aggiungo – se, con Gesù Cristo, diventiamo liberi da ogni complicità con la crudeltà, non solo quella personale, ma anche quella dei sistemi (politici, economici, anche religiosi) in cui stiamo comodamente, a spese di altri esseri umani. Come diceva Aldo Capitini: la vita senza morte comincia col non uccidere. Bellet dice ancora che la domanda se il cristianesimo stia per morire ne contiene una più grande e più giusta: l’umanità sta per morire? Noi umani siamo pericolosi per la nostra stessa potenza. Che cosa possono fare i cristiani in questa situazione? Da una parte assumere l’intera tradizione cristiana, in quell’atteggiamento primario che è l’ascolto recettivo: ascolto del Vangelo e ascolto degli uomini, senza escludere e senza imporre. Ma, dall’altra parte, criticare radicalmente ciò che va sotto il nome cristiano, che spesso, in rapporto al Vangelo, è menzogna. La chiesa sarà sempre questa contraddizione vivente. La parola del Vangelo che porto all’altro ha per lui valore di verità se, nella sua realtà, opera la separazione della vita dalla morte: in ciò consiste la parola di verità, non nel dissertare su cose vere. Il luogo del Vangelo è la vita umana, è la nascita dell’umanità, il sogno della creazione che si va compiendo, non è uno spazio “religioso”. È una maniera di abitare la vita umana in cui la comunione o l’amore è la realtà fondamentale. Il luogo di verità del Vangelo non è nelle idee, ma nel vivere gli uni per gli altri. Questa è l’esperienza alla quale gli esseri umani aspirano ed è, al tempo stesso, un’esperienza che ci manca. La vita senza la morte. Questa struttura fondamentale della fede cristiana rimane non “afferrabile”: è qualcosa che non possiamo “prendere” senza fare del totalitarismo, e la chiesa in certi momenti è sprofondata nel totalitarismo. Deve rimanere l’apertura dell’aperto, il riferimento a una sorgente sempre inaccessibile, dalla quale ci viene “il dono che permette di essere gli uni per gli altri qualcosa di Ecco l’uscita dall’homo homini lupus, la nascita come uomini, la vita senza (dare la) morte. Se io arrivo a non aggiungere morte (omicidio, disprezzo, vendetta, rancore, offesa, abbandono, sfruttamento), la morte verrà a me, inevitabilmente, ma troverà un estraneo, non un mortifero, e su di me non regnerà. Il problema è ritrovare tutto questo non nei momenti religiosi, ma nella vita quotidiana, nel gusto della vita, nella fine della paura, della minaccia, di quella tristezza che è la colpa di esistere. In questa luce nessun uomo è condannato: il Verbo era la Vita e la Vita era la luce degli uomini. Ma su questa verità non possiamo riposare tranquillamente, perché spetta a noi mostrare e realizzare che nessun uomo è condannato. Per questo il Vangelo è “un sì radicale, un’affermazione smisurata e un’insurrezione senza limiti contro tutto ciò che distrugge l’uomo”. Questa insurrezione si rivolge con particolare vigore contro tutto ciò che si chiama cristianesimo, se esso diventa un’ideologia tra le altre, un sistema dottrinario-disciplinare. Nel tentativo di costruire l’uomo nuovo si incontra la prova: lo scacco (constato che non amo, che sono ancora un distruttore), l’insensatezza di ciò che la fede professa (Dio ci ama davvero? “A questo punto si può dire che cosa rimane del cristianesimo: è l’esperienza radicale dell’uomo che ha creduto nella possibilità dell’uomo, che ha visto disfarsi tale possibilità e che l’ha riaffermata anche là”. Si realizza all’improvviso questa coincidenza folgorante: il luogo dove posso comprendere la potenza di Dio è la morte di Cristo, perché nella sua morte non si lascia contaminare e disfare dalla distruzione, dalla violenza, dalla menzogna. Per questo egli risorge nella sua stessa morte. Questa potenza è in ognuno che non cede all’avvilimento, che condivide, che resta incrollabile nella fede, che non odia nemmeno i propri carnefici. Ci sono persone così, e sono di più quelle ignote di quelle note. Perciò il mondo si regge ancora. Dunque, si riprenda l’ispirazione iniziale del Vangelo e della chiesa, e non ci si limiti a ripetere, che sarebbe come tacere. Il sistema dottrinario-disciplinare esige la ripetizione, ma il frutto dell’ascolto del Vangelo è che lo Spirito verrà in me e io creerò l’inedito. La fede cristiana si trova in una situazione difficile e i credenti devono perdere molte illusioni. Se si accetta questa perdita, è possibile che si apra qualcosa che sfugge al nostro potere ma vive in noi attraverso un traboccamento di energia considerevole. Il cristianesimo come ideologia c’è da augurarsi che sparisca. L’inaudito del Vangelo, possibilità di risurrezione nelle crisi, forse è appena agli inizi. Enrico Peyretti • M.Bellet, M.Cacciari e C.Molari, “Il cristianesimo sta morendo?”, ed.l’altrapagina (tel.075-855.81.15; [email protected]), 94 pagine, L.18.000. |