RIFLESSIONI |
La libertà scomunicata. E l’amore pure. |
Leggendo per motivi di studio (con Paolo Ricca) il Denzinger a proposito del Concilio di Trento e del giansenismo ci siamo imbattuti in queste proposizioni: «Se qualcuno afferma che a questi bambini, così battezzati, una volta cresciuti, deve essere chiesto se intendono confermare quello che i padrini promisero a loro nome al momento del battesimo, e che, in caso di risposta negativa, devono essere lasciati liberi e non devono essere costretti a vivere cristianamente con altra pena all’infuori del rifiuto dell’eucarestia e degli altri sacramenti, fino a che non si ricredano: anathema sit» (dal Decreto sui sacramenti del 1547, Canoni sul sacramento del battesimo, n.14 in H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, edizione bilingue, Edb 1995). E ancora: «Non c’è Dio e neppure religione, dove non c’è la carità (1Gv, 4, 8)» (proposizione condannata nella bolla Unigenitus Dei Filius di papa Clemente XI del 1713, Errori giansenisti di Pasquier Quesnel, n. 58, in op. cit.). Certo, è antistorico estrapolare singole affermazioni da documenti ampi: andrebbero almeno contestualizzate. Tuttavia le due affermazioni succitate sono davvero abnormi: la prima sembra in qualche modo fornire la giustificazione “teologica” di un caso tornato recentemente alla ribalta con la beatificazione di Pio IX, quello di Edoardo Mortara; la seconda osa sconfessare perfino lo scrittore sacro (e il canto tante volte intonato in chiesa!): Ubi caritas, ibi Deus est. Ammettiamo pure che le due condanne siano state tacitamente abrogate dalla consuetudine a.r. |