DOPO LE STRAGI
Interrogativi sulla tecnica

Lo spazio economico edificato dall’Occidente ruota attorno all’esasperazione del movimento. Il fulcro del potere tecnico che ha permesso all’uomo occidentale di inaugurare un controllo un tempo nemmeno immaginabile nei confronti del resto del mondo alligna nella capacità di spostarsi con velocità e con velocità far spostare le cose che utilizza. Il “mezzo” tecnico simbolo del potere massimo dell’uomo ritenuto più potente al mondo è un aereo in grado di garantire un movimento senza sosta; l’invulnerabilità – sempre potenziale, certo – che riveste il presidente degli Stati Uniti è legata alla possibilità di non rimanere mai confinato in uno spazio ristretto, di non divenire un bersaglio immobile. Gli eventi di New York e Washington vengono a darne una tragica testimonianza: qualsiasi cosa ferma può essere colpita.

Al di là di tutte le indispensabili, e prioritarie, considerazioni sulle vittime di questi atti terroristici, il primo pensiero a sorgere è quello che verte sull’ingente danno economico che degli oggetti mobili per definizione hanno arrecato ad un’economia fondata sulla mobilità – e la chiusura dello spazio aereo statunitense ha sancito, tanto simbolicamente quanto praticamente, questo arrestarsi assoluto del movimento. Dalla madre Inghilterra gli Stati Uniti hanno ereditato in primo luogo il ruolo di potenza mobile del mondo; l’esercito americano, ad esempio, è il più imponente e pericoloso di tutti perché, oltre al potenziale strettamente bellico, detiene la capacità di portare la guerra ovunque, di spostare in massa gli strumenti militari di cui dispone con rapidità ineguagliabile. La riduzione, in ambito civile, di tale capacità di spostamento, insinuata dalla minaccia costante della sicurezza fisica in cui esso dovrebbe avvenire, è l’ombra che questo triplice inimmaginabile attentato ha allungato sull’economia mondiale, sempre più new quanto meno ancorata a forme statiche.

È divenuto quasi ovvio affermare che la capillare ramificazione del terrorismo internazionale, sintomo palese della sua pericolosità, è stata garantita e resa possibile da quella stessa facilità di spostamento che, indotta dalla tecnica occidentale, ha improntato anche il mondo non occidentale, in larga parte perlomeno. Relativamente a questa accezione (la tecnica in quanto esito imprescindibile del pensiero occidentale) non sembra arduo sostenere che i semi di questi gravissimi atti criminali trovano la loro originaria matrice nella stessa cultura europea ed americana. Io credo che questa affermazione possa risultare tanto più degna di meditazione quanto più si intraprenderà lo sforzo di guardare ad essa da una distanza che prescinda da ogni metro di valutazione etica o politica. Valutazioni che sono doverose, naturalmente, ma che indurrebbero automaticamente a credere che il problema a cui l’umanità si trova di fronte dopo le stragi di New York e Washington sia in ogni caso passibile di risoluzione – ardua quanto si vuole, ma non aliena ad una decisione umana.

Quello che sarebbe però necessario domandarsi, prendendo in considerazione ogni tipo di risposta possibile, è se quel mondo che a Heidegger e a Marx, in forme differenti quanto insospettabilmente simili, si era manifestato quale luogo della disponibilità totale e della circolazione illimitata delle merci, sia un mondo sul quale l’umanità conserva ancora un’effettiva, e potenzialmente duratura, capacità di controllo e di condizionamento. 

Domanda non facilmente eludibile, perché a volte si è davvero tentati di credere che l’assoggettamento della Terra ad un unico potere, utopia sempre cullata da innumerevoli menti deliranti, si sia già compiuto, o sia solo ad un breve passo dal compiersi, nel dominio impersonale della tecnica e di tutto il suo sempre più sofisticato apparato strumentale. Quel superamento del soggetto auspicato da alcune filosofie e da altre fortemente temuto è forse già realtà irreversibile nella a-soggettività della tecnica: impasto non districabile di qualsiasi mente e corpo che ne fanno uso, super-essere acefalo, perché composto di infinite teste, e privo di coscienza, perché in grado di assorbire in sé ogni eventuale moto cosciente.

Esiste dunque uno scenario che, se possibile, oltrepassa in inquietudine quello di una razza umana sull’orlo di un’autodistruzione dovuta ad inettitudine politica a porre sotto controllo i conflitti che lacerano le civiltà a cui essa ha dato origine. È uno scenario che numerosi, talvolta straordinari, romanzi e film di science-fiction hanno reso reale nell’immaginazione: in esso l’artificiale incomincia a vivere una vita propria, e cessa di porsi al servizio di coloro che lo hanno creato, nel tentativo di sostituirsi integralmente ad essi.

Massimiliano Fortuna


 
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