QUALE CRISTIANESIMO PER IL FUTURO? |
Passi impazienti |
Dopo gli interventi “preparatori” del numero scorso, pubblichiamo ora la trascrizione della discussione a più voci sulla “fine del cristianesimo” che si è svolta tra i redattori del foglio a Cremolino il 15 luglio scorso.
AB Quella di Bellet (cf il foglio 284) è una lettura del cristianesimo che punta tutto sulle sue radici evangeliche ed è una lettura possibile e legittima. Anzi direi che in sostanza la condivido; ma devo fare un’obiezione, quella di identificare il cristianesimo con la fede evangelica della comunità primitiva. Come ha dimostrato Pino Ruggieri (Il cristianesimo tra “religione civile” e testimonianza evangelica, di prossima pubblicazione), tale identificazione è assai problematica, perché di cristianesimo, come nuova credenza religiosa strutturata in una precisa rosa di formulazioni teologiche e sociologicamente organizzata, si comincia a parlare solo a partire dal iv-v secolo. Il cristianesimo storico, che prende forma con i Padri della chiesa, si riorganizza culturalmente nel medioevo e si definisce dogmaticamente negli anni della Riforma protestante e cattolica, ha certo alla sua origine la fede apostolica, ma da essa si discosta sempre di più. Non è figlio della Scrittura, ma della sua reinterpretazione filosofica, fondata sul pensiero classico greco-latino. È per questo che esso si può presentare come la matrice culturale della civiltà e della potenza occidentale e può, in quanto tale, pretendere dai poteri politici quei riconoscimenti che gli competono. Se la fede biblica parla di una tensione alla completa trasformazione della realtà naturale e storica, la visione del mondo elaborata dal cristianesimo propone invece il buon governo e la conservazione dl mondo sotto la sua guida. Ecco perché il cristianesimo non sta senza cristianità, senza una qualche forma di controllo ideologico e pratico della realtà sociale, ed ecco perché non si può parlare di fine della cristianità senza ipotizzare la fine del cristianesimo. Si badi bene: del cristianesimo, non della fede evangelica, che da sempre in esso lotta per liberarlo dal suo volontario asservimento ai poteri economici, politici e culturali del mondo. La rivelazione non è chiusa. AP Per me il problema nasce quando il cristianesimo, che è quello che hai detto, pretende di essere la rivelazione definitiva. È proprio un certo modo con cui si legge il vangelo che mette in risalto la pretesa di un certo cristianesimo di conoscere la definitiva rivelazione di Dio. Da piccolo, alle scuole cattoliche, mi avevano spiegato che il vangelo è una lettera dettata direttamente da Dio agli evangelisti per noi, mentre l’attuale critica ci dice che è il resoconto di ciò che gli evangelisti e le loro comunità hanno visto, sentito e capito della vita di Gesù. AB È la tipica lettura di un cristianesimo, storicamente datato, che reinterpreta la Scrittura all’interno di una struttura teologica precostituita. Spero sia chiaro che non stiamo parlando di perdita della fede da parte dei cristiani dei secoli passati, ma di un’epoca culturale e religiosa dominata da una certa concezione che oggi non può essere rinnovata con una serie di piccole correzioni, ma ha bisogno di essere totalmente reinterpretata e produce un’identità totalmente diversa. Prendiamo quella frase di Bellet: «nessuno è condannato». Questo non è commisurabile con quanto abbiamo imparato fin qui, è una rottura radicale, perché mette in gioco i temi del destino perenne, del rapporto con Dio, della funzione redentrice di Gesù, ecc. Quale continuità possiamo vedere ancora col modello salvifico del cristianesimo classico? EP Bellet parla di «inafferrabilità»: si è voluto far sistema della fede, ora essa torna a essere tensione. MP Se il cristianesimo è rivelazione definitiva non posso correggere Gesù, altrimenti posso farlo. Per es. non ho problemi ad andare contro Luca o Matteo, se sono sicuro che certi passi sono proprio loro e a-cristici (cioè non pienamente in linea col messaggio originario di Gesù, come il caso del ricco Epulone e, sempre in Luca, l’episodio di Anania e Saffira in Atti 5). Certo andare oltre Gesù... Anche lui però non è univoco: per stare al tema della condanna, la afferma (sempre che i passi siano suoi), ma dice sicuramente il contrario nel discorso della montagna/pianura relativamente al Padre che è benevolo verso gli ingrati, i malvagi e gli ingiusti. Credo che occorra andare a lavorare dentro la rivelazione, nella ricerca con fede e speranza, poiché essa non è chiusa definitivamente. EP Ma che cosa significa «condannato»? Non potrebbe voler dire semplicemente: «guarda, non stai vivendo bene»? MP L’espressione mi fa venire in mente quanto Karl Rahner già scriveva nel lontano 1960 nei suoi saggi sull’escatologia: «Della possibile dannazione si può parlare solo nella misura in cui all’uomo, che sta arrischiando liberamente la sua esistenza, è proibito considerare la vittoria della grazia nel mondo come una vittoria sua personale già certa e sicura». Ma quando Mt 25 dice: «andate, maledetti, al fuoco eterno», non penso si possa equivocare; è però un altro caso di a-cristicità, perché molto probabilmente non è di Gesù. EP La rivelazione non è chiusa: lo dice padre Calati, ma soprattutto lo dice Gesù stesso. La chiesa invece ha voluto sigillarla, selezionando alcune cose e lasciandone altre. AP Ma selezionare è inevitabile. Inaccettabile è che questa selezione sia presentata come la vera, la definitiva, l’assoluta. (Legge il suo articolo intitolato L’Incontro e le risposte, cf il foglio 284). MP Il punto è: il vangelo ha o no uno scarto/riserva di senso o si risolve in questa umanità? Teoricamente le risposte potrebbero essere tre: 1) questo scarto/surplus c’è; oppure 2) non si dà, almeno nell’attuale vita storica; non ci sono cioè elementi particolarmente nuovi, se non forse una sur-determinazione di alcune componenti dell’umano; o ancora 3) l’importante è testimoniare, annunciare e operare senza preoccuparsi troppo se lo scarto ci sia o meno: in questo senso la differenza tra credenti e non-credenti si assottiglierebbe, o comunque risulterebbe irrilevante. Si dà invece quella che Metz chiama la «riserva escatologica»: qui almeno si instaura una differenza tra credenti e non-credenti di un certo peso e rilevanza. AP Ecco: io non accetto che per essere uomini bisogna essere cristiani, o come dice Bellet che il vangelo è «là dove l’uomo impara a diventare umano». AB Forse è detto nel senso che il cristianesimo non è contro l’uomo. EP O forse che è «umano» chi fa ciò che il vangelo dice (chi ama, chi non distrugge ecc.), e non chi lo conosce o lo ripete. AP Che lo sappia o no... Ma una parte non è il tutto: tu sei quello che sei e ti confronti con altri che non sono come te. AB Pino Ruggieri distingue tra cristianesimo come religione civile e quello come testimonianza (martirio), cioè tra funzione sociale della religione che consolida la società stessa e il nucleo evangelico che propone una prassi profetica in completa alternativa ad essa. EP Come sostiene Girard: solo la religione è capace di amministrare la violenza della società. Il potere e il fermento. AB E non si possono non condividere le parole del Kultusminister della Baviera ai teologi cattolici nel 1995 citate da Ruggieri: «Ciò che lo stato garantisce alle chiese, si tratti di protezione giuridica o di prestazioni finanziarie, non costituisce affatto un atto di beneficenza nei confronti di esse... lo stato, così facendo, fa un «favore» a se stesso. È evidente che le chiese, ieri come oggi, costituiscono un fattore di integrazione di prima qualità nella nostra società e nel nostro stato, dato che esse stabilizzano la cultura politica trasmettendo valori e il senso di questi ultimi a molti uomini e donne. In questo modo non solo esse danno sostegno all’individuo indicandogli la condotta da seguire in un mondo sempre meno trasparente, ma costituiscono, al tempo stesso, un contrappeso di fronte all’individualismo e all’atomizzazione sempre più pronunciati della nostra società. Esse incoraggiano la vita in comunità e contribuiscono al mantenimento della nostra collettività». Da un lato il cristianesimo è la risposta religiosa adeguata alla coesione sociale, corrisponde al volere di Dio che ha dato un ordine sia per quelli che credono sia per quelli che non credono; dall’altro c’è la radice evangelica che non si può proporre se non come testimonianza: ma allora la sua forma compiuta, vera, è una proposta il cui compimento è escatologico. In questo secondo caso il cristianesimo non è la guida etico-sociale, ma fermento che sta ai margini, non perché scelga i margini, ma perché non è una parola definitiva, ma apertura a una dimensione “altra”. Penso alla parabola del granello di senape, che si rifà all’immagine di Israele come cedro del Libano. La parola di Cristo è un piccolo seme che diventa l’albero di senape, il più grande non degli alberi ma degli ortaggi! Una società (o anche solo un’etica universale) fondata sull’amore, o su rapporti di empatia amorosa, allora, non può essere mondanamente costituita, se non con forti deformazioni. Ma questa è già una voce interpretativa. Il nucleo della croce si pone in termini di contrasto, cioè come processo critico e non evolutivo: anche il “potere” cristiano non può non entrare in contrasto con la croce. Questo si può dire anche su base storica: se leggo per es. sul Denzinger che un battezzato può essere «costretto a vivere cristianamente» (cf foglio 284) significa che il “potere” cristiano è stato realizzato. E questa sarebbe la vita cristiana (secondo l’amore)? Dobbiamo sperare nella riscoperta del fermento che invita a camminare in una certa direzione, e non nella legislazione dell’amore. EP Ricoeur (in Amore e giustizia, Morcelliana) osserva che la regola d’oro – dai agli altri ciò che ricevi, sia in bene che in male – può dare origine anche alla legge del taglione, mentre il vangelo dice «amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi». La sua logica è quella della sovrabbondanza, del dare più di quello che ricevi. Ma questa non è una regola di convivenza (chiede troppo), è piuttosto l’immagine di un mondo finale. Il vangelo non può valere come regola della società. AB Ovvero, è riuscito a diventarlo solo adattandosi all’etica migliore dei vari tempi, sia nel bene sia nel male. EP Rinuncia a farsi legge ma non deve perdere la spinta a oltrepassare, con l’umiltà di contraddizioni. «L’homme depasse l’homme», dice addirittura Pascal. Quindi non è vero che chi non crede non è umano. La cristianità è finita? AB Nell’amore del nemico ti destini al martirio. Come dice Flusser, l’insegnamento di Gesù supera «almeno teoricamente il giudaismo, in virtù dell’amore rivolto anche ai nemici», ma non sembra che possa opporre «alle forze del male altro aiuto che il martirio», cioè la testimonianza ma anche la sconfitta. Questo è il tema specifico del cristianesimo dunque, che si è perso nel momento in cui esso si è fatto guida morale dell’Occidente. Del resto, in fondo spesso noi abbiamo un senso di giustificazionismo storico, per cui diamo come giustificazione di qualsiasi nostro comportamento contrario al vangelo il contesto storico. Ma questo non giustifica nulla, perché san Francesco nel ’200 ha detto cose che possiamo ridire oggi come novità, ma che 50 anni dopo di lui i suoi seguaci già disattendevano! Ogni tempo è buono per vivere (o tradire) il vangelo. CB Qui siamo tutti d’accordo che è finita la cristianità, è invece problematico il fatto se con Gesù la rivelazione sia finita. Anche perché c’è la pretesa di Gesù «Io sono la via, la verità e la vita». Del resto il compimento della croce realizza proprio l’amore del nemico. L’esperienza cristiana proponibile oggi è quella della parabola del sale e del lievito, credo. Quest’ultimo per es. non è la pasta ma non ha senso senza di essa! Perciò è un’esperienza al limite, problematica, perché dà sapore, fa lievitare, ma non può far questo... rendendo immangiabile la pasta! Il sale, in sé, è immangiabile. Né può tirarsi fuori da un contesto, il mondo creato, che peraltro biblicamente è «molto buono». A proposito di alberi, poi, ci sono prospettive completamente diverse. Per esempio Giuda Levita rovescia la prospettiva cristiana. Dice che dal seme ebraico è cresciuto l’albero cristiano, e quando alla fine si andrà a vedere... si vedrà che i semi prodotti dall’albero saranno uguali a quello dell’origine! Il seme che ha dato origine all’albero cristiano è quello di Israele! È il recupero del cristianesimo all’interno dell’ebraismo. AB Il problema in ogni caso è il rapporto tra cristianesimo storico, che si è venuto configurando e riconfigurando nei secoli, e il vangelo: quanto ha a che fare con le radici? MP Attenzione: parliamo tanto di cristianesimo come se fosse qualcosa di monolitico, anche in relazione al medioevo. Mi domando per es. che cosa diranno i posteri studiando la nostra epoca e guardando le registrazioni delle folle osannanti: che il nostro cristianesimo si identifica col papa? AB Certo, esiste una storia del cristianesimo evangelico sconfitto, represso (come il valdismo) e domato (come il francescanesimo). Per fare un altro esempio, ci fu opposizione tanto tra i teologi che tra i vescovi alla dogmatizzazione del primato pontificio ai tempi di Pio IX. Insomma, c’è una storia del vangelo che non è stato potere di cui si sa poco. GA Non mi va il discorso di dire: noi stiamo dalla parte del sale... quindi teniamoci Ratzinger. MP No, non è così. Il fatto è che non me ne importa più niente di “pestare” contro Ratzinger o contro Biffi. Se lo fai dai loro importanza, e invece non ne hanno alcuna (sarebbe come prendersela col sistema tolemaico). La posta in gioco è ben altra: supponiamo di accettare come vera la tesi moderna che afferma che «Dio non interagisce col mondo a livello di massa-energia, non interviene a livello molecolare-energetico, a livello fisico-chimico-biologico nel decorso naturale della storia del cosmo e dell’uomo» (sbrigativamente, può solo cercare di persuadere l’uomo nello “spirito”, può solo insistere in un rapporto di tipo spirituale). Si tratterebbe allora di una vera e propria falsificazione, in senso popperiano, di numerose teorie antiche e medievali; ci sarebbe da riscrivere gran parte della teologia e una discreta fetta della filosofia. Non è poi così balzana l’idea di dover abbozzare un quinto Vangelo o un terzo Testamento! GA Sto leggendo le annate del foglio degli anni ’70 e mi vengono le crisi depressive. Facevate allora gli stessi discorsi che facciamo adesso. Da una parte c’è un Ratzinger, dall’altra una minoranza illuminata come il foglio: mi pare uno schema troppo facile... Bisogna distruggere l’apparato, non starne all’interno e contestarlo, ma rischiando di farne la copertura. Il documento cattolico sulla shoà Noi ricordiamo ricorda un canonico tedesco, Lichtenberg, che dopo la notte dei cristalli gridava che questo non si doveva fare. Il giorno dopo era a Dachau. Era poco diplomatico, non aveva il senso dell’opportunità, come scrisse in una lettera (pubblicata da Miccoli) un altro canonico, o era sale? Oggi ci viene proposto come vero rappresentante della chiesa questo prete, che a suo tempo era stato sconfessato dall’apparato. Se il papa dice che la Madonna ha deviato la pallottola, non posso prenderlo in considerazione, non è serio. Hai un bel dire il cristianesimo non è il papa. Come fai poi a far parte di questa chiesa? Io mi tiro fuori. Per una testimonianza evangelica. AB Quando mi chiamano in giro a parlare, a volte mi presentano come “cattolico”. E io non mi ci trovo affatto dentro questa definizione: ovvero più che altro i cattolici credo che non si riconoscerebbero molto in quello che io sostengo... Per questo al foglio abbiamo messo quel sottotitolo: «mensile di alcuni cristiani torinesi». Senza pretendere di rappresentare nessuno. Questo problema dello stare dentro/fuori è interno a ogni epoca. In fondo spesso noi ci serviamo della contestualizzazione storica per giustificare qualsiasi comportamento contrario al vangelo. In qualsiasi epoca un cristiano s’è trovato a fare i conti con le radici evangeliche. Il mio problema è proporre un modello diverso dal cristianesimo: in cui essenziale è dare testimonianza al vangelo, se sono capace, e denunciare le deviazioni rispetto al vangelo nel mondo vicino (non mi interessa parlar male degli ortodossi o dei protestanti, anche se a volte lo meriterebbero pure loro...). EP Mi interessa capire se quando chiedo che la politica abolisca la guerra ecc. pretendo di imporre una logica di convivenza possibile o l’attuazione della profezia di Isaia o della parola di Gesù? Sono passi impazienti all’interno di un orizzonte regolativo (nel senso di Kant) oppure una pretesa totalitaria? Per es. durante la guerra Nato contro la Serbia siamo andati contro la Costituzione (art. 11). Violante ha spiegato in un incontro che nella politica c’è uno sgabuzzino dove i governanti possono andare oltre le regole, perché un sistema tutto “regolato” crollerebbe. AB Il punto è che dallo sgabuzzino non escono mai! EP Sì, ma è ancora utile e feconda l’opposizione tra me idealista e il realista? Pretendo la società perfetta dell’amore o cerco la realizzazione dell’umano? AP Forse entrambi. La guerra è un modo rozzo di risolvere conflitti, credo che sarà superata, ma questo non significa che non ci saranno altre ingiustizie, magari meno visibili. Alla fine sarai sempre insoddisfatto della società. AB Per es. che differenza c’è se a bloccare il traffico è una protesta di gente incazzata per qualcosa o lo stato, come nel caso del G8 a Genova? Nel secondo caso però la chiamano misura di prevenzione! EP La stessa differenza che c’è tra omicidio e pena di morte. AB Il testimone non pretende che altri abbraccino la sua visione del mondo, ma questo non significa che non ce l’abbia. Tu probabilmente non saresti arrivato alla nonviolenza – la “testimonianza” della tua vita – senza il fermento evangelico, anche se c’è chi ci arriva per altre strade. Tu puoi/devi proporre la tua visione e spenderti per risolvere i conflitti rinunciando alla guerra. Ma se sei fermento non pretendi che la tua visione sia norma, se non quando tutti ne saranno convinti e questo avvenga per una scelta “laica”. Il vangelo, ripeto, chiede testimonianza e non realizzazione di una società cristiana. EP Per il superamento della violenza, dicevo in un dibattito, ci vuole una fede che ti fa scegliere di morire piuttosto che di uccidere. Però Angela Marasso una volta mi ha fatto capire che ci sono diversi passi: il 1° è non fare violenza; il 2° darsi da fare per sviluppare le alternative pratiche e praticabili alla violenza. Solo dopo questo, c’è il 3° passo: puoi dare testimonianza che accetti la sconfitta piuttosto che il successo ottenuto mediante la violenza. GA In effetti, la morte di Luther King per es. ha fatto fare un salto all’abolizione della segregazione razziale. AB Torno al problema della definitività. Lavorando esegeticamente si può dimostrare che «definitivo» è un termine che risente molto del cristianesimo nel senso che dicevo, della continua ricerca di aggiustamenti. Ma se veniamo al Cristo morto e risorto, la croce è la cifra, il segno di una rivelazione in profonda agonia (per usare il termine di De Unamuno): non una rivelazione definitiva, in cui tutto è spiegato, ma il tentativo di mettere il vangelo in una forma sempre contraddetta e contraddittoria. La morte in croce rifiuta ogni chiara spiegazione (cf C. Molari, La strana verità della Croce, in «Rocca» n. 12, 15-6-2001,che cita a sua volta Cacciari), e la resurrezione è anzitutto attesa, apertura, non chiusura. Da un lato nell’Apocalisse c’è la maledizione per chi aggiunga anche una sola parola alla Scrittura, ma dall’altra l’invocazione a Gesù: «Signore, vieni presto». La croce è l’immagine definitiva della non definitività del vangelo: che non si dà come qualcosa di acquisito, ma che ricerca in modo conflittuale. EP Sarebbe orribile una parola definitiva. AB Anche l’autodefinizione di Gesù come «via, verità e vita» va del resto proprio nel senso del percorso. CB «Lo Spirito di verità ci guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13). AB Ogni tanto nel gruppo biblico qualcuno mi dice: «Ma perché discutere, tanto Gesù sapeva e ci ha insegnato tutto!». EP E io invece ho sentito questa battuta di una persona religiosa, in una riflessione sul vangelo: «Sì, sì, Gesù dice bene, ma siamo seri: non si può mica perdonare!» Come dire: i preti dicano la loro, poi noi viviamo come possiamo. Ecco cosa succede a un vangelo che si è fatto religione. Sigle: ab Aldo Bodrato, ap Angelo Papuzza, cb Claudio Belloni, ep Enrico Peyretti, ga Gianfranco Accatino, mp Mauro Pedrazzoli a cura di Antonello Ronca |