SFIDE |
Perché non deludiamo le speranze dei bushtalebani? |
Dopo l’11 settembre c’è in tutti noi un grande bisogno di chiarezza, di serie e lucide analisi, di sicurezza, di scelte discriminanti, di decisioni irrevocabili. Siamo dunque condannati a scegliere? Smascherare. «O con noi o con i terroristi». Questa è la parola d’ordine, categorica ed impegnativa per tutti, del duce dell’Occidente. Ed ancora: «Prendetelo vivo o morto! Col Bene contro il Male! Vinceremo!». Ma allora, che differenza c’è tra la decantata civiltà occidentale e il fondamentalismo islamico? I sacri proclami di Bush e dei suoi discepoli non sono sostanzialmente diversi da quelli di Bin Laden e dei suoi marines. Se infatti c’è qualcosa che l’Occidente, ammaestrato dai suoi errori e dai suoi orrori, può permettersi di suggerire all’Islam, è un invito alla tolleranza, alla laicità, ad instaurare uno stato di diritto. Ma che laicità è quella che si identifica col bene assoluto? Che tolleranza è quella che conosce solo l’uso della forza? Che stato di diritto è quello per cui un indiziato è già un condannato da consegnare vivo o morto? I saggissimi opinionisti non sopportano le sfumature. L’Ulema Gramellini su La Stampa del 22-9 tuona contro gli “agnoletti” lanciando la scomunica contro coloro che osano dire «siamo dalla parte dei morti americani, ma...». Allora, al posto di un «ma», diciamo «e perciò...». Siamo dalla parte delle vittime del terrorismo e perciò siamo contro la guerra. Siamo dalla parte dei palestinesi e perciò rifiutiamo le follie dell’ultrarabbino Bin Laden. Siamo per la sicurezza degli israeliani e perciò siamo contro l’Ayatollah Sharon. Siamo contro l’antiamericanismo viscerale e perciò siamo contro le litanie del Muezzin Bush. Occorre insomma smascherare, denudare tutti i re, tutti i falsi profeti. Strappiamo barboni neri e turbanti, strappiamo cappelli a stelle e strisce: dietro a questi travestimenti troveremo, finalmente, il volto dell’odiato nemico, l’agognato obiettivo su cui sfogarci? Ahimé, no. Come per magia, vi scopriremo il nostro stesso volto, la parte peggiore di noi stessi, le nostre stupide velleità, l’illusoria ricerca di un’impossibile sicurezza, il nostro folle delirio di onnipotenza. Una possibile chiave di lettura delle odierne tragedie è da cercare dentro di noi. Usiamola per pensare, per commuoverci, per sorridere. Ridere. Dario Fo (La Stampa, 27-3-01) denunciava «la mancanza totale di umorismo nell’affrontare e risolvere qualsiasi momento della nostra vita... L’ironia è uno strumento spietato per affinare l’analisi della realtà. Ridere sulle cose ci permette di essere più realistici, le sdrammatizza e le rende più chiare spogliandole dalle suggestioni. I potenti mal sopportano il sarcasmo , l’ironia e la satira e per questo sono pericolosi. Hanno in spregio il ridere. Non ne conoscono l’intelligenza. La loro visione del mondo è sprovvista del senso del ridicolo». In piena guerra Chaplin aveva messo alla berlina Hitler e la persecuzione agli ebrei. Le barzellette avevano ridimensionato il consenso al duce già prima del 1943. Alcuni anni più tardi, barzellette simili erodevano il potere del cosiddetto socialismo reale. Perché dunque non ridere della coppia Bush-Bin Laden? Perché non ridere degli Americani che, al canto di «God bless America», pensano più che mai ai loro affari? Perché non ridere (di un riso amaro) di quegli antiisraeliani viscerali che, ogni volta che tuonano contro Israele, preparano il trionfo degli estremisti israeliani? Quando Bush, consigliato dal suo staff di espertissimi in comunicazioni, ha partorito l’espressione «giustizia infinita», io, inesperto qualsiasi, ho riso, e certamente con me hanno riso di cuore miliardi di non ritardati mentali. Ma gli eroici americani hanno avuto paura di ridere. Ma i politici (anche dell’Ulivo) e gli opinionisti italiani hanno avuto paura di ridere. Qualche saggio musulmano ha infine salvato Bush dal naufragio. Dunque ridiamo. Ma a patto di ridere anche di noi stessi, di questa umanità che non riesce ad essere umana. Ridiamo dei nostri genitori che erano convinti che fosse risorto l’Impero Romano. Ridiamo di chi (come il sottoscritto) trent’anni fa inneggiava ai macellai Mao e Pol Pot. Ridiamo di chi (come il sottoscritto, ma non ero il solo...) quindici anni fa considerava positivamente la lotta del «popolo afghano» contro i sovietici. Disubbidire. Un comando secco del generale Bin Laden. Il sergente Bush e la recluta Berlusconi scattano sull’attenti, sbattono rumorosamente i tacchi e gridano all’unisono: «Comandi!». Infatti Bush e i suoi seguaci hanno finora disciplinatamente obbedito ai terroristi che avevano tutto previsto e non sono stati delusi dai loro burattini. Chi invece non è un burattino deve ribellarsi agli ordini dei terroristi. Essi vogliono terrorizzarci? E noi li deludiamo con una fragorosa risata. Essi vogliono la guerra? E noi facciamo impazzire il loro computer introducendovi il virus della pace, moltiplicando le azioni nonviolente, purificando anche le nostre parole, anche i nostri pensieri da ogni forma di odio. Essi sono intolleranti? E noi li confondiamo concentrando ogni sforzo per accogliere quanti più stranieri, soprattutto di altre religioni, per costruire un’Europa sempre più multietnica e laica. Essi vogliono distruggere la nostra economia? E noi li spiazziamo trasformando liberamente e gioiosamente il nostro modo di produrre, di consumare, di vivere. Essi puntano (perfettamente in linea col più banale consumismo all’americana) sull’invincibile suggestione delle immagini spettacolari? E noi li disorientiamo spostando l’attenzione sulla ricerca quotidiana delle mediazioni necessarie per un disarmo graduale, per l’umanizzazione dell’economia planetaria, per la salvaguardia del creato. Essi disprezzano la propria vita e quella altrui? E noi diamo una bella sculacciata ai kamikaze di casa nostra, cioè a quelli che ogni giorno immolano se stessi e gli altri in nome del dio denaro, del culto fanatico della velocità, delle prestazioni, della tecnica fine a se stessa, del disprezzo per l’ambiente e per tutto quello che non è traducibile in denaro. Essi dividono il mondo in buoni e cattivi? E noi li lasciamo scornati ponendoci sorridendo nel campo dei cattivi, bloccando così in modo definitivo il meccanismo demenziale del capro espiatorio. Utopia? Sì, ma sempre meno “utopica” della folle proposta di puntare sulla forza. E per chi crede di credere non solo con le labbra, è un tentativo per prendere sul serio l’ipotesi che Gesù di Nazareth sia davvero il Figlio di Dio e perciò deciderci, dopo duemila anni di grottesca parodia, di mettere in pratica il discorso della montagna (Matteo 5, 38-48; Luca 6, 27-38). Dario Oitana |