ORWELL E LA STAMPA
Due minuti di Odio
«Un fastidioso stridore, come di una macchina non ben lubrificata, si fece sentire con uno scoppio dal grande teleschermo in fondo alla sala. Era un rumore che faceva drizzare i capelli in capo. I due minuti di Odio erano cominciati.

«Come al solito, la faccia di Goldstein apparve sul teleschermo. (...) Era il rinnegato, l’apostata, che, molto tempo prima, era pure stato fra i dirigenti del Partito, ma s’era poi dato ad organizzare attività controrivoluzionarie. (...) Era stato il supremo traditore, tutti i delitti che erano stati commessi in seguito contro il Partito, tutti i tradimenti, gli atti di sabotaggio, le eresie, le deviazioni erano sorti direttamente dal suo insegnamento. (...) La sua faccia sembrava quella di una pecora, e dal teleschermo sferrava il suo solito, velenoso attacco alle dottrine del Partito.

«(...) Prima ancora che fossero passati una trentina di secondi d’Odio, incontrollabili manifestazioni di rabbia ruppero fuor da una metà del pubblico nella sala.

«(...) Durante il suo secondo minuto, l’Odio arrivò fino al delirio. La gente si levava e si rimetteva a sedere con gran rimestio, e urlava per coprire quella voce maledicente che veniva dallo schermo. La bruna della fila dietro urlò “Porco, Porco, Porco”, afferrò un pesante dizionario e lo scagliò sul teleschermo. (...) Una estasi mista di paura e di istinti vendicativi, un folle desiderio di uccidere, di torturare, di rompere facce a colpi di martello percorreva l’intero gruppo degli astanti».

In una di queste sere, leggo questa pagina in “1984” di George Orwell, celebre romanzo che narra di un mondo dove l’intera vita di ogni persona è continuamente osservata dal “Grande Fratello”, massima entità del partito unico che governa il presente e il futuro, la società e gli individui, fino a riscrivere il passato e la storia. Un romanzo, certo, un modo come un altro per avere qualche minuto di evasione tuffandosi nella letteratura.

Prima di andare a letto, apro La Stampa, autorevole quotidiano di importanza nazionale. A pagina 4 ci trovo quattro foto a colori. Un grosso titolo: “Vivere a Talebania”, e un sottotitolo: «un mese dopo l’attacco alle Twin Towers: come si vive e come si muore sotto il regime integralista di Kabul». Le foto sono eloquenti: l’esecuzione pubblica di una donna afgana; due uomini impiccati, uno dei quali ha il volto sfigurato in modo orrendo; una donna che cammina sotto il burqa; ragazzi che inneggiano a Bin Laden.

Un piccolo brivido mi percorre la schiena: l’informazione di questi giorni mi sembra terribilmente vicina ai “due minuti di Odio” del romanzo di Orwell. Giornali, telegiornali, riviste (per fortuna con qualche lodevole, seppur rara, eccezione) hanno un solo, grande messaggio: prendiamo Bin Laden, vivo o morto (ma par di capire che Bush preferirebbe morto), e tutti i problemi del mondo saranno risolti. C’è solo una drammatica differenza fra Orwell e il coretto della stampa italiana: il primo è un romanzo.

Paolo Fornetti


 
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