UN’INTEGRAZIONE PRATICABILE
Il muro che non c’è
Francesco Ciafaloni è ricercatore presso l’Ires-Cgil di Torino ed è autore de “I diritti degli altri”, minimum fax, 1998. A lui ci siamo rivolti per fare il punto sull’immigrazione oggi in Italia.

Nel campo dell’immigrazione quali sono i fatti nuovi?

Nel 2000 sono entrate legalmente o sono state di fatto regolarizzate un po’ più di 60.000 persone, nel 2001 ci dovrebbero essere stati intorno agli 80.000 permessi di soggiorno nuovi per lavoro. In effetti in questi anni non c’è stata nessuna regolarizzazione, ma un ingresso legale per lavoro, oltre che per ricongiungimento familiare e accordo bilaterale con gli Stati, tra cui i più importanti sono stati il Marocco, l’Albania e la Romania. Molte persone che hanno avuto il permesso di soggiorno per lavoro erano già presenti in Italia, qui avevano conosciuto il futuro datore di lavoro o lo sponsor e poi erano uscite e rientrate. Così facendo non si ruba il posto a nessuno perché avere un contratto dall’estero con piccole aziende o famiglie è ovviamente impossibile.

In regola, o anche fuori.

A che cosa è dovuta la presenza di irregolari?

In Italia c’è un ampio mercato di lavoro nero. Gli stranieri hanno in esso una percentuale più alta degli italiani, ma non hanno creato nessun settore nuovo, si sono inseriti in condizione di maggior debolezza nei settori esistenti, anche se una parte lavora in regola e un numero crescente fa parte del mercato regolare del lavoro. L’esistenza del lavoro nero rende di difficile applicazione qualsiasi legge sull’emigrazione. Perché una legge non può che vincolare il rinnovo del permesso di soggiorno al fatto di avere un reddito regolare, altrimenti verrebbero rinnovati permessi a disoccupati di lungo periodo e questo nessun paese che abbia un welfare se lo può permettere. Qualunque lavoro nero che produce un reddito e quindi la vita, ma non consente di certificare il reddito, porta all’esistenza di irregolari di lungo periodo. E questo li immette in rapporti umani resi più difficili dal fatto che non possono ricorrere alla difesa della legge. Se infatti hanno un contratto di casa fatto su un rapporto personale, se subaffittano da affittuari illegali (e quindi alla fine violenti), se non possono ricorrere al sindacato o all’Ispettorato del lavoro, o all’Inail in caso di infortunio, è chiaro che tutta la loro vita è peggiore: si metteno più soldi in tasca rispetto a quelli che prenderebbero – forse – con rapporti di lavoro regolari, però pagano di più per la casa e hanno rapporti precari, e alla fin fine violenti.

In che senso parla di violenza?

Se ho un contratto regolare e non pago l’affitto corro dei rischi di fatto: posso essere perseguito legalmente, mi gioco la garanzia dell’alloggio perché divento sfrattabile e chi mi affitta la casa comunque sa che entro certi limiti è difeso dalla legge. Se invece chi mi affitta la casa non è difeso dalla legge, è chiaro che è sicuro di essere pagato perché è cattivo, ha i modi per farsi pagare, altrimenti sarebbe un povero cretino! I suoi rapporti con me sono almeno in linea di principio violenti: se io non pago lui mi mena, o peggio. Questa sfera di rapporti clientelari e violenti non riguarda solo gli stranieri: basta pensare alle mafie, all’usura... Se lo straniero ci finisce dentro è in gran parte perché è irregolare. Perciò la regolarizzazione dovrebbe essere la tendenza principale in qualunque sistema di accoglienza.

Che cosa prevede la nuova proposta di legge del governo?

Rende più dure le condizioni per entrare ed essere regolare. Ci sono inoltre altri modesti peggioramenti: la durata del soggiorno per aver diritto alla carta di soggiorno passa da cinque a sei anni, praticamente diventa reato la violazione dell’obbligo di espulsione. Lo era già, però le pene aumentano. Sparisce la sponsorizzazione. Se non vengono aumentati i numeri degli ingressi per contratto già stipulato, questo porta a un dimezzamento degli ingressi, e già così gli ingressi sono troppo pochi rispetto alle necessità del mercato italiano del lavoro. Se questi peggioramenti si realizzano, al di là di ciò che si dice l’irregolarità crescerà, perché le persone non hanno altri modi per badare la madre anziana, e la piccola azienda edile che va cercando il manovale, se lo trova in regola lo prende in regola, altrimenti lo prende fuori regola! Resta il fatto che l’irregolare rischia di più che in passato. Però se basti questo a scoraggiare... ce lo dirà il futuro.

Dal “mondo antico”.

Quali cambiamenti ci sono nei flussi di provenienza?

Nelle regioni dove è arrivata per lavoro l’immigrazione nordafricana o dell’Africa occidentale (marocchini e senegalesi), che sono l’area industriale orientale e occidentale (Nord-Est e Piemonte), sia gli slavi più vicini, sia quelli più lontani, sia i rumeni (che non sono slavi) tendono a diventare sempre più frequenti. Questi arrivi portano al fatto che per l’Europa orientale si hanno anche i più alti tassi di irregolarità. A Torino probabilmente il tasso di irregolarità è il più alto di tutti e può rassomigliare a un terzo, perché siccome la provenienza era in grande crescita durante l’ultima regolarizzazione, nel 1998, non si sarà fermata, saranno arrivati anche dopo. C’è dunque la presenza di lavoratori, non sono ricongiungimenti familiari: arrivano, producono ricchezza, soddisfano la domanda del mercato, forse con l’illusione di una nuova regolarizzazione che non ci sarà. In parte si sono regolarizzati tornando in Romania e ritornando col contratto. Però probabilmente non sono riusciti a recuperare la sacca di irregolarità che si era creata. Ci sono strade della periferia di Torino in cui irregolari rumeni a decine non lavorano in regola. Questo contribuisce a ricreare situazioni di rischio e condizioni di lavoro che per la generalità degli italiani è finita tra trenta e venticinque anni fa. C’è una parte di lavoratori, dunque, che finisce prima dello Statuto dei lavoratori, non ha diritti associativi, perché non esiste.

In che cosa siamo uguali e in cosa diversi “noi” rispetto a “loro”, gli immigrati?

La contiguità è quella delle culture contadine o pastorali di origine. Alcuni dei flussi migratori vengono da paesi che non sono ancora entrati nella modernità. Allora il salto che le persone devono fare non ha tanto a che fare con la lingua o la religione: loro vivevano nel loro paese nel “mondo antico”, cioè nella civiltà tradizionale, molto legate a una religione tradizionale. Il posto dove arrivano è una città industriale che ha una religione diversa dalla loro, qualche volta, ma che soprattutto non ha più una cultura tradizionale. Questo passo è lo stesso fatto dagli immigrati italiani interni, che venivano esattamente da quel tipo di mondo. La fine di quel mondo avvenne con l’emigrazione interna, non prima. Si deve ricordare che “Morte e pianto rituale nel mondo antico” di Ernesto De Martino è basato su casi lucani e rumeni. La sua tesi è che questo modo di piangere i morti, con le donne vestite di nero che piangono professionalmente i morti, regge più o meno nel “mondo antico” dai tempi dei bassorilievi delle tombe delle piramidi fino alla Lucania del 1960. Le differenze religiose che certo esistono non creano grandi problemi: anche una norma di massima distanza, come la poligamia, è poco importante perché in un paese come il Marocco, per es., le unioni poligamiche sono intorno al 2,5%. Ma se non si parla, se non si conosce l’altro, se si costruisce l’altro in maniera contrapposta poi le botte arrivano! Non è obbligatorio che noi ci picchiamo, forse invece noi ci picchieremo, ma questo non dipende dalla volontà di Dio.

Che cos’è cambiato dopo l’11 settembre?

Costruire una barriera ideologica intorno al diverso nome di Dio, è un modo come un altro per tracciare una frontiera. Ora, con l’ondata successiva al massacro di New York può capitare benissimo che si costruisca un fantasma di questo tipo, magari appoggiato ad autorevoli avvertimenti che ci sono stati e mi sono sembrati alquanto inopportuni. Per fortuna ce ne sono stati di opposti, che invitano alla convivenza, alla fratellanza, alla pace. Ma non perché non ci siano problemi a farlo: la fratellanza è sempre difficile, anche tra cugini. Anzi soprattutto tra cugini. Non bisogna però costruire un muro che non c’è.

Come combattere la criminalità legata all’immigrazione?

Il timore degli italiani nei confronti dello straniero è certamente legato alla microcriminalità. Ma questa domanda di sicurezza è anche degli stranieri. Le persone più insicure in Italia sono proprio gli stranieri. Il numero dei morti ammazzati stranieri a Torino è assolutamente fuori misura rispetto a quello degli italiani: qualche volta sono stranieri che ammazzano stranieri, spesso sono italiani che ammazzano stranieri. La domanda della sicurezza non è una domanda dei cattivi, è una domanda di tutti. Questa sicurezza però non può essere garantita menando nel mucchio, ma anzitutto eliminando le cause dell’insicurezza, quindi stabilendo la legalità, che vuol dire prima di tutto permessi di soggiorno e lavoro non in nero, e poi vuol dire anche la polizia. Non credo che la forza pubblica sia di destra, e l’assenza di forza pubblica sia di sinistra. Se c’è violenza e criminalità credo che vada presa, distinguendo tra il criminale occasionale da quello di mestiere. Non discende dal fatto di volere un’apertura il fatto di abolire la forza pubblica, solo che essa dovrebbe avere i mezzi per distinguere chi delinque da chi non lo fa. Altrimenti il rischio è che riversi su una provenienza o un aspetto la repressione che riguarda alcuni di quella provenienza o quell’aspetto.

Un regalo con ritorno.

Quale integrazione è possibile allora?

Gli italiani rispettano i diritti del lavoratore presente ma non accettano di aprire molto al lavoratore prossimo venturo, anche se tutti i dati vanno verso un aumento dell’immigrazione. Il ragionamento ovvio che parte dalla diminuzione della natalità per concludere che per forza il numero degli immigrati crescerà non sembra aver fatto breccia nella consapevolezza degli italiani. Noi non abbiamo interiorizzato il fatto che avremo in futuro una percentuale di immigrati di livello europeo, mentre al momento ce l’abbiamo bassa. E se la maggioranza non vuole alzare il numero degli ingressi regolari, questo è impopolare e non avviene, perché i parlamentari eletti non hanno voglia di giocarsi la rielezione per elevare i numeri. Inoltre agli italiani non piace aumentare la spesa per gli immigrati. Non è passata ancora l’idea che l’immigrazione è un regalo. Se uno vuole un lavoratore specializzato o un infermiere, deve sapere che l’infermiere immigrato che arriva ti regala la sua nascita, la sua cura da infante, la sua scolarizzazione, ecc. che qualcun altro ha fatto a sue spese. Se te lo regala ci rimette qualcosa. Chi accetta un lavoratore formato adulto sta sottraendo qualcosa a un’altra società, in cambio gli darà rimesse. Perciò non risulta evidente che se uno vuol avere lavoratori regolari pacifici, dovrebbe avere un mercato della casa aperto, corsi di italiano anche avanzato, ecc. Bisogna convincere gli italiani che l’aumento del numero degli immigrati e dei servizi per loro non sono un regalo senza ritorno – che pure sarebbe una buona cosa nel nome della comune umanità – ma sono anche uno scambio, perché migliora poi la vita di tutti.

a cura di Antonello Ronca


 
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