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Si sta meglio in Africa o in Europa? |
Sia pure in modo spesso confuso ed ambiguo si è parlato, in questi ultimi mesi, del problema della povertà nel mondo. Le opinioni sono svariate, spesso contrastanti. Solo in un punto tutti sembrano concordare: chi ha pochi dollari è più infelice di chi ne ha di più. Dunque da destra si insiste sullo sviluppo che porterebbe più dollari anche ai più poveri; da sinistra si invoca una più giusta distribuzione dei dollari.
Ma l’equivalenza dollari-benessere è corretta? Non c’è il rischio che l’onnipotenza del denaro sia il criterio dominante anche in chi crede di lottare per la giustizia? Tempo fa (luglio-settembre 2000) il Gallo pubblicava una lunga riflessione dal titolo «la ricchezza cresce, e la vita?». Si riportava la seguente sconcertante testimonianza: «Credo che, paradossalmente, la crescita economica moltiplichi i disagi esistenziali... Mi sono venute in mente le parole di C. Gerest, al suo ritorno definitivo dall’Africa, quando si stupiva di trovare nella ricca e civilizzata Francia molta più infelicità e scontentezza che nel povero arretrato Zaire, dove l’Aids colpisce il 30% della popolazione, la mortalità è alta e la fame incombe. Diceva di avere l’impressione di toccare con mano quell’acedia che il mondo medievale indicava come male, quella tristitia o incapacità di vivere che forse è persino più distruttiva che fame e miseria. La globalizzazione fa sì che le ricchezze ed i profitti della terra siano nelle mani di 1/5 dei suoi abitanti, del quale noi siamo in qualche misura parte, e che, con una certa quale omogeneità, dispone di mezzi enormi e di potenzialità impensate, senza peraltro che il tasso di felicità sia innalzato o i giorni più sereni». Qua e là ogni tanto compaiono studi che dovrebbero mettere in crisi i fondamenti dell’ideologia consumistica. Negli Stati Uniti un gruppo di ricercatori californiani denominato “Ridefinire il progresso” ha dimostrato che, a partire dagli anni Settanta, l’indice del benessere ha registrato un declino in netto contrasto col sempre più trionfante andamento del Pil (Worldwatch Institute, “State of the World 1997”, Isedi, p. 184). Recentemente (agosto 2001, p. 41) la rivista Riza psicosomatica ci informa (senza purtroppo specificare la fonte) che «recenti indagini e sondaggi hanno evidenziato un dato su cui riflettere: oggi si ride molto meno (cinque minuti al giorno) di quanto ridevano gli italiani 50 anni fa (quindici minuti al giorno)... Il riso è il farmaco migliore e non ti costa nulla: libera gli istinti, rompe le regole, scaccia la paura e la rigidità, spazza i falsi miti, risveglia il bambino che è in noi». Queste riflessioni non intendono dimostrare nulla di certo: al contrario vogliono insinuare un sano dubbio che incrini le certezze. Tanto meno si intende proporre ai poveri una moralistica rassegnazione in nome di «il denaro non dà la felicità». Ma non si potrebbe sognare un G8 dei Paesi poveri che si proponga di aiutare noi ricchi a vivere meglio consumando meno? Dario Oitana |