PER IL DIBATTITO |
10 alternative alla guerra |
1. Giustizia senza vendetta: la ricerca dei colpevoli, dei perpetratori, non solo materiali, ma anche dei mandanti, è compito di un organismo sovranazionale e non di una singola parte. Gli Usa si sono finora opposti alla costituzione di un Tribunale Penale Internazionale sui crimini contro l’umanità: cambieranno idea dopo l’11 settembre? Giuridicamente, questi attentati sono un crimine contro l’umanità e non un atto di guerra, e come tali devono essere affrontati.
2. Negoziazione*: uno dei principi cardine della trasformazione nonviolenta dei conflitti è la non demonizzazione dell’avversario e l’analisi corretta delle sue richieste. Che cosa ha chiesto Bin Laden nel corso della sua dichiarazione trasmessa dalle tivu di tutto il mondo? Tre sono i punti essenziali, tutti quanti non solo negoziabili, ma che da tempo avrebbero dovuto essere affrontati: definitiva risoluzione del conflitto Israele-Palestina; cessazione dell’embargo e dei bombardamenti sull’Iraq, con lo stillicidio di morti che mensilmente sono almeno pari a tutte le vittime dell’11 settembre; abbandono delle basi Usa in Arabia Saudita. 3. Costituzione di una commissione internazionale per la verità, la giustizia e la riconciliazione: questa commissione potrebbe cominciare a funzionare a partire da Ong e gruppi di base, sulla falsariga di quella promossa in Sudafrica da Nelson Mandela e Desmond Tutu, coinvolgendo in un secondo tempo le istituzioni statali e sovranazionali. 4. Sostegno ai movimenti locali che lottano per i diritti umani e la democrazia con metodi nonviolenti: ovunque sono presenti gruppi che operano per una trasformazione nonviolenta dei conflitti, in particolare movimenti di donne come quello afghano Rawa. 5. Dialogo, educazione, cultura: è il lavoro lento, ma indispensabile, per costruire un’autentica cultura della nonviolenza, compito primario di ogni educatore. Segnaliamo l’articolo di Umberto Eco, “Le guerre sante: passione e ragione” (La Repubblica, 8 ottobre). 6. Movimento internazionale per la pace: così come negli anni ’80 una grandiosa mobilitazione riuscì a sconfiggere la minaccia nucleare, occorre a maggior ragione costruire un movimento delle società civili di ogni paese, del Nord e del Sud del mondo, che sappia imporre un cambiamento nell’agenda delle priorità politiche sui temi globali: pace, ambiente e sviluppo, senza cadere nella trappola della protesta violenta. 7. Uscita dall’economia del petrolio: fonte di ricchezza per pochi, di gigantesca corruzione e di minaccia ambientale planetaria, è diventata anche una delle cause prevalenti delle guerre. È indispensabile avviare prontamente la riconversione del sistema energetico su basi rinnovabili, decentrate, a piccola potenza. 8. Controllo della finanza internazionale: il mondo è pieno di “Bin Lader” come si usa dire nel dialetto piemontese e forse di qualche altra regione, che disinvoltamente utilizzano i proventi della droga, del commercio di armi, della speculazione finanziaria e delle attività mafiose per costruire paradisi fiscali e potenta-ti economici al riparo da ogni intrusione della giustizia. Cominciamo a liberarci dei “Bin Lader” nostrani, che stanno varando leggi scandalose e offensive del più comune buon senso morale. 9. Zone libere dall’odio: è la proposta lanciata dalla Ong americana “Global exchange” che richiama quella delle zone denuclearizzate degli anni ’80. Dichiariamo le nostre scuole e i nostri quartieri “zone libere dall’odio”, con un lavoro di base, di dialogo, di incontro, di scambio culturale che valorizzi differenze e capacità costruttive e creative di trasformazione nonviolenta dei conflitti. 10. Liberazione dal complesso militare-industriale: tutti i punti precedenti rischierebbero di risultare vani se la più potente causa di produzione delle guerre non venisse rimossa, in ogni paese, ma soprattutto in quelli più potenti, a cominciare dagli Usa, sostituendo gli attuali modelli di difesa altamente offensivi e distruttivi con forme di difesa popolare nonviolenta. Nanni Salio * Su questo punto la redazione ha discusso molto. La trattativa non è neppure pensabile con autori oscuri di un crimine, che uccidono senza avanzare richieste. Se trattativa invece vuol dire affrontare i nodi storici che danno pretesto a masse frustrate di sostenere il terrorismo, allora è un’alternativa alla reazione cieca della guerra. |