CONFLITTO ISRAELIANO-PALESTINESE |
Basta! |
Dibattito sul Medio Oriente sempre più acceso: abbiamo ascoltato un intellettuale islamico riproporre, in un’assemblea multireligiosa torinese, la favola bella dei palestinesi che si oppongono con le sassaiole al potere armato, abbiamo visto bandiere israeliane sventolare con quelle di An a piazza del Popolo, abbiamo sentito disquisire sui mea culpa dovuti o pretesi da parte dell’ebraismo. Ma poi, in un sabato di inizio dicembre, giornali e televisione ci hanno riportato all’immediatezza: abbiamo visto la via Ben Yehuda di Gerusalemme cosparsa di cadaveri (e non erano morti per una sassaiola), abbiamo constatato la perfidia dell’attentato in due tempi, che miete nuove vittime tra i soccorritori delle prime. Il giorno dopo, ancora l’autobus di Haifa trasformato in una bara per tanti, troppi cittadini di Israele. Si dimentica spesso che il popolo di Israele è fatto di uomini e donne ebrei, arabi e drusi, e tali erano anche quelle vittime (tra di esse un’infermiera immigrata filippina), accomunate dalla nostra pietà come dal disprezzo di chi le ha annientate. Ogni evento mediorientale è un nodo di una rete di cause storiche che risalgono almeno ad un secolo fa, ed è giusto non perdere la prospettiva storica. Di fronte a una strage però emergono memorie personali immediate: penso al sorriso amaro di chi mi aveva raccontato che in Israele i genitori si preoccupano ogni mattina di far salire i loro bambini su autobus diversi, penso a Mariella, israeliana torinese, che odiava i telefonini ma ora non può farne a meno, perché lei vive in un kibbutz vicino al mare, sua figlia sta a Gerusalemme, e non si sa mai che cosa può accadere. Già prima dell’undici settembre Israele ha conosciuto il terrorismo suicida, interrogandosi sulla sua origine, come tutti noi. Non ci si può accontentare di parole come follia o disperazione: non spiegano nulla. Chi disprezza la propria vita quanto quella di vittime scelte a caso dimostra l’inesistenza di qualsiasi legame razionale tra la propria azione e qualsiasi ideale politico o religioso. Non può che essere mosso da quell’intreccio di mitologia e presunzione che pretende di assimilare i propri comportamenti al volere di una divinità. Non vedo differenze tra il Deus lo vult! con cui san Bernardo incitava i crociati al massacro e i proclami di guerra santa dei fondamentalisti contemporanei. A chi trova i termini del paragone troppo distanti nel tempo, ricordiamo l’immensa gioia con cui Pio XII salutava nel 1939 il trionfo di sangue del franchismo e l’avvio della pluridecennale vendetta sui vinti repubblicani. Chi si sente mosso da volontà soprannaturali lega la vita (propria ed altrui) ad un destino di salvezza eterna e, diceva Ernesto Buonaiuti nel 1908, «non c’è mostruosità che non possa essere commessa dalla coscienza che crede, operandola, di lavorare per la gloria di Dio». Il fanatismo religioso, presente in tutte le religioni, è dunque il nemico da sconfiggere. Se crediamo nella ragione e nel senso di un destino umano comune, crediamo anche che il fanatismo sia aberrazione di minoranze e sia eliminabile, seppur quando coltivato fin dall’infanzia. Proprio per questo ci sembra miope e inutile, oltre che criminale per il suo aggiungere vittime casuali a vittime casuali, la “consueta” via della rappresaglia generalizzata prontamente intrapresa da Sharon. Significa allargare la responsabilità del fanatismo ad un intero popolo – e questo è per definizione razzismo – spingendo strati sempre più larghi di quel popolo a solidarizzare con il fanatismo religioso, e alimentando allo stesso tempo il simmetrico fanatismo vivo e presente tra gli ebrei israeliani. Alla guida politica di Israele chiediamo di intraprendere strade nuove e sorprendenti in direzione della pace. Ne ha il diritto, per garantire l’esistenza e la sicurezza del paese. Ne ha il dovere, perché Israele resta comunque la parte militarmente più forte tra le due. Noi siamo con tutti i palestinesi e con tutti gli israeliani che piangono i loro morti, stiamo con gli israeliani arabi ed ebrei di Haifa che accorrevano a soccorrere i feriti nel quartiere arabo-ebraico di Halissa, siamo con quelli che dicono BASTA alla violenza causa ed effetto di violenza, siamo con il Parents Circle, un movimento che si autodefinisce «l’associazione delle famiglie dolenti del Medio Oriente» e riunisce centocinquanta genitori israeliani e centoventi genitori palestinesi, oltre a un ristretto gruppo di drusi, accomunati dal fatto di avere perso dei figli nel conflitto mediorientale. La nostra speranza è in un grande movimento dal basso, dall’umanità del dolore e della ragionevolezza, che scavalchi ad un tempo la disastrosa politica di potenza di Sharon e le ambiguità della dirigenza palestinese, imboccando con gesti coraggiosi la via della pace. Facciamo nostre le parole di David Grossman: «Ora vorrei prendere una bomboletta di vernice nera e invece di un lungo articolo correre a scrivere su tutti i muri di Gerusalemme, di Ramallah e di Gaza, un unico graffito: “Pazzi, smettetela di uccidere e cominciate a parlare!”». Gianfranco Accattino |