ITALIA
Democrazia in pericolo

Macché conflitto d’interessi! Non di conflitto si tratta, ma di beata somma e associazione di interessi privati e di potere pubblico. Questa convergenza è il primo scopo e l’idea unica della politica presente nei progetti e nelle azioni dell’attuale capo del governo (illegittimamente eletto fin dal 1994, come abbiamo documentato più volte; illegittimità coperta anche dall’opposizione, ma non tolta nella sostanza democratica, che è quello che ci interessa). In altre parole, si tratta di un accumulo di poteri evidentemente incostituzionale. Quando i poteri economico, mediatico, politico, militare, ed anche giudiziario (questo tentato, col rifiuto di essere giudicato, col sabotaggio dei processi, con la delegittimazione preventiva dei giudici e delle loro sentenze) sono nelle stesse mani, siamo di fronte ad un caso chiaro di totalitarismo. Bobbio lo avvertì per tempo. La responsabilità di chi può osservare e pensare è di vedere per tempo i pericoli, e non arrivare tardi, come in altri momenti storici negativi.

La democrazia non consiste solo nelle elezioni, nel conferimento popolare del potere. In democrazia non c’è nessun “unto del Signore” tramite il popolo. La democrazia sta o cade con le garanzie contro la prevaricazione. Perciò le è essenziale la divisione dei poteri, il loro reciproco bilanciamento, la loro limitazione nell’estensione, oltre che nel tempo, perciò quel rispetto delle minoranze che esclude la dittatura della maggioranza. Quando queste garanzie sono a rischio – e lo sono oggi in Italia – è a rischio la democrazia, le regole fondamentali della nostra civiltà politica. Quando questo accade, come accade oggi, il primo impegno è la difesa attiva della democrazia dal totalitarismo.

Signoria rinascimentale.

C’è totalitarismo quando una parte pretende di farsi tutto. Una idea, filosofica o religiosa, che esclude altre idee è totalitarismo, come nel fondamentalismo religioso o in quello economico, cioè nel “pensiero unico” liberista (c’è chi spiega la sigla Fmi come: fondamentalismo monetario internazionale...). È totalitarismo anche la riduzione del tutto alla parte: la riduzione della res publica ad azienda, a res privata; la riduzione del governo degli affari di tutti a Ministero degli Affari Propri; la riduzione della politica a commercio e quindi della Farnesina ad agenzia pubblicitaria e dei diplomatici a piazzisti.

È vero che il potere economico regna comunque, ma la classe politica non può coincidere con esso, perché deve mediare tra la ricchezza di alcuni e il diritto di tutti. Altrimenti lo stato di diritto regredisce a signoria rinascimentale (che probabilmente è l’immagine di repubblica ideale nella testa della classe rampante allevata dal craxismo).

La maggioranza non assolve, abbiamo scritto subito dopo le elezioni dello scorso maggio (il 
foglio n. 281). Meno del 50% degli italiani, grazie al sistema maggioritario, ha dato una grande preponderanza di seggi al governo di centro-destra, che intende usare questa forza a tutto spiano, rompendo gli argini democratici, e liquida il problema dell’accumulo di poteri e delle pendenze giudiziarie con l’inconsistente e ipocrita argomento che così piacque agli italiani. 

Il Presidente della Repubblica pose la condizione, nel conferire l’incarico di governo (che il leader del centro-destra voleva far apparire come datogli direttamente dal popolo), di risolvere entro cento giorni il nodo del cumulo di poteri. Poi non fece più valere quella condizione, sebbene sollecitato nel modo più esplicito e pressante anche da autorevoli opinionisti certamente non di sinistra come Sartori. Perché questa sua debolezza, che è inadempienza di una funzione doverosa?

La legge che il governo presenta al Parlamento in questo mese è una turlupinatura del Paese e dello spirito democratico: il controllato si sceglie i controllori, dotati di flebile voce successiva alla violazione. La sensibilità media non reagisce. Forse si sveglierà – se non ci illudiamo – il giorno che il padrone del Milan nominerà gli arbitri delle sue partite.

Secondo alcuni buoni analisti, il tarlo che corrode la civiltà politica è la pubblicità, unica parola sovrana sulla piazza pubblica. Con la pubblicità e in quanto pubblicitario il nostro ha preso il governo. Le spese pubblicitarie delle imprese sono detassate invece di essere tassate progressivamente. La pubblicità turba il mercato tanto adorato, perché costringe le piccole imprese a dissanguarsi nell’inseguire le grandi in quella gara impari. E i consumatori pagano tutte le spese nel prezzo finale. Mercato, politica, cultura e anche religione: tutto diventa pubblicità, a danno della parola veritiera e a vantaggio dei ciarlatani. Tocca ai cittadini consapevoli della libertà (quella senza casa) boicottare la pubblicità e i prodotti più reclamizzati dai “signori della merce”, specialmente sulle reti di proprietà del Grande Tele-Venditore.

Non c’è potere, neppure dittatoriale, che possa sussistere senza un certo grado di collaborazione. Gestire la propria obbedienza in scienza e coscienza è gestire il potere. Ciò è nella possibilità di ciascuno che voglia sapere le cose come stanno e che ami essere libero. La coscientizzazione è liberazione. Perciò la coscienza del cittadino, capace di obiettare pagandone il prezzo, è il fondamento della libertà giusta.

Il petroliere texano.

L’involuzione della democrazia in Italia riflette una linea mondiale oggi prevalente. Il petroliere texano, vincitore con un dubbio biglietto nella lotteria elettorale nella democrazia modello, che oggi si rafforza con la roboante (ma molto cruenta) guerra all’ex collaboratore, da lui stesso nominato presidente del terrorismo mondiale, ha problemi di accumulo illegale di interessi ben più grossi di quelli dell’allegro pubblicitario italiano. 

L’opposizione politica italiana, dopo aver governato con incertezza e indecisione sulle cose più gravi (difesa della democrazia e della pace), dopo aver legittimato cose illegittime e partiti non democratici, continua ad agire con troppa debolezza e mancanza di chiarezza, addirittura associandosi nella violazione della Costituzione sul punto più grave, la guerra. In mancanza di una politica di opposizione efficace nel lumeggiare e affrontare con alternative qualificate i veri nodi della situazione, noi temiamo che ritorni in Italia il pericolo di una risposta fisicamente violenta alla violenza della illegalità. L’attuale clima orrendo di guerra, eletta a regina antropofaga, tutrice del sistema mondiale dell’iniquità, vestita coi panni della giustizia definitiva, celebrata da un’informazione senza cuore, che illustra la guerra e non la giudica, ed è per lo più prona al potere violento di cui dovrebbe essere la spina critica nel fianco – ebbene, un tale clima sembra fatto per produrre un ritorno spaventoso di fiducia nella violenza a servizio del bisogno insopprimibile di giustizia. Sappiamo bene quanto ciò sarebbe non soltanto un errore fatale, ma un aggravamento del male di cui soffre il mondo. La violenza non porta mai giustizia, ma accresce l’ingiustizia. 

Anarchici e suore.

La speranza è in quei fremiti sani, nel corpo vivo della società civile, che si sono visti a Genova e nel mondo, nel vasto e variegato movimento nonviolento di critica attiva e di lavoro alternativo al dominio globalizzato della diseguaglianza e del privilegio, programmati e difesi con le armi. Sui punti essenziali della giustizia economica, della democrazia politica, della pace, l’umanità non si rassegna: dagli anarchici alle suore, dai settantenni ai quindicenni, c’è una reale coscienza in movimento. Questo moto non è “anti-global”, nomignolo dato da un giornalismo che non vuol capire la realtà. È invece un movimento di autentica globalizzazione, cioè di unificazione umana dei popoli nell’uguaglianza dei diritti. La lezione di Genova e di altri momenti ha insegnato a questo movimento che la vera alternativa è tra la violenza e la nonviolenza attiva, tra l’uso e l’abuso di ogni mezzo, anche dei più preziosi, al fine di mantenere l’ingiustizia, e – all’opposto – la scelta dei soli mezzi giusti per costruire la giustizia e la pace. 

Il fatto che questa opposizione sia stata criminalizzata a Genova, con l’uso calcolato del terrorismo di strada combinato col terrorismo poliziesco, come è criminalizzata, col ricatto vigliacco «o con me o con il terrorismo», la sacrosanta critica della guerra – che è causa, copia, “clone” statale del terrorismo delle bande – tutto ciò dice anche ai sordi quanto le varie “case della libertà” (di arraffare) siano “fosse” della libertà di crescere in umanità invece che in barbarie. Ma dice anche, agli intelligenti, che quella di Seattle, di Genova e di Porto Alegre, è la via giusta, la via lunga e difficile della giustizia planetaria come base buona della convivenza cosmopolitica pacifica.

La chiesa cattolica pare differenziata: l’alto clero persiste fedele al culto del finanziatore delle scuole cattoliche, il basso clero spesso e il volontariato cattolico sempre hanno capito la natura pagana e costantiniana del centro-destra italiano. Bisogna che queste forze, insieme a tutti gli uomini di buona volontà e di spirito civile, siano presenti anche nella politica istituzionale, a liberarla dal pericolo. Forse anche l’industria seria, dopo averlo appoggiato, si prepara a scaricare il “parvenu”, se capisce finalmente che è il prodotto di un’avventura astuta e spregiudicata e non di una tradizione di lavoro serio e costruttivo.

Una regressione antropologica.

È importante aggiungere che il problema italiano impersonato nel capo del governo attuale e nei suoi dipendenti non è soltanto un problema politico e giuridico, quanto soprattutto un problema antropologico. Non è la patologia di una persona, ma di un modo di vivere la nostra umanità. È il sintomo – tra il comico, il tragico e il grottesco – di una regressione antropologica a stadi inferiori di evoluzione umana. La battaglia, dunque, non è soltanto politica, ma principalmente culturale e spirituale: di che cosa alimentiamo i nostri spiriti? A quale vento offriamo le vele? Allo spirito di competizione? Ecco, allora, che facciamo una società di rivali e non di soci, quindi una non-società, un aggregato pericoloso di solitudini agguerrite e di sordi dolori – perché siamo pur sempre umanamente delusi, deprivati – che esplodono in violenze. Offriamo le stanche vele allo spirito di possesso e di consumo? Ed ecco la civiltà della consumazione finale, dell’esaurimento della natura, nostro corpo comune, strappata ferocemente alla maggioranza denutrita dalla minoranza obesa, in un’orgia terminale in cui i folli ricchi mangiano l’albero che non darà più frutti. Ecco, infatti, il texano presidenziato che esorta il suo (suo?) popolo a riprendersi dall’offesa di lesa maestà e lesa borsa con l’appello insensato: consumate, consumate, spendete, spendete!

Il mondo è governato dal governo di un popolo che è il 5% dell’umanità. Cioè, la situazione è assurda, oltre che ingiusta. Se il progetto dell’Occidente è sbagliato – abbiamo costruito un ponte che non regge, l’umanità non può passarvi; abbiamo scelto un modello che funziona solo a condizione di escludere i più – l’anima dell’Occidente contiene anche, in modo non esclusivo ma reale e indimenticabile, l’idea dei diritti umani, della spiritualità infinita ed inviolabile della persona, della giustizia universale. Il compito è liberare quest’anima dalla prigione della cultura violenta del dominio, dall’offesa umiliante della violenta libertà liberista. Solo allora l’Occidente potrà dare e ricevere, in scambio con le altre civiltà, valori di vita e di pace, qualunque sia il punto del rispettivo cammino umano. In questo compito una grande parte tocca al dialogo tra le religioni, alla collaborazione tra i tesori spirituali dell’umanità, risorse primarie per la sopravvivenza. L’Occidente sia grato alle altre tradizioni che oggi vengono a visitarlo portandogli qualcosa di tali tesori.

Il momento angusto e misero che vive oggi la storia italiana sarà sbloccato soltanto dalla consapevolezza di queste dimensioni profonde del pericolo.

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