Editoriale |
Il vescovo di Torino, card. Severino Poletto, venendo in diocesi ha ritenuto necessario dotare di nuove strutture l’apparato pastorale progettando di costruire una grande chiesa intitolata al «Santo Volto» che fungesse da «co-cattedrale» per le grandi funzioni episcopali, un edificio che riunisse buona parte degli uffici della curia e un grande salone in grado di accogliere i partecipanti ai convegni ecclesiali.
Sulla «Spina 3» della città si sono resi edificabili a causa della demolizione degli stabilimenti Fiat e Michelin grandi spazi, sui quali era già stato elaborato un progetto di viabilità, costruzioni e opere comunali. La richiesta del vescovo per costruire queste tre opere è stata accettata dal comune. Prima della messa in opera dei lavori, il Vescovo ha discusso con i Consigli episcopali e presbiterali ottenendone l’approvazione. Intanto, cominciavano a manifestarsi le prime perplessità. Ci si domandava se era proprio necessaria un’opera di tale mole e di costi molto consistenti. È sembrata a molti assurda la creazione di una co-cattedrale, come se il Duomo di Torino fosse insufficiente. Lo spostamento degli uffici curiali in altro luogo più accessibile sembrava invece opportuno, ma ci si domandava se non fosse più conveniente e meno dispendioso acquistare una costruzione già esistente, visto che c’erano in vendita edifici di congregazioni religiose e di altre proprietà che, di fatto, sono stati ceduti a opere laiche. La costruzione di un grande salone, infine, sembrava superflua visto che esistono in città, anche in luoghi facilmente accessibili, locali che possono essere affittati in quelle tre o quattro occasioni di incontri annuali. Molti si domandavano se fosse opportuna un’iniziativa del costo di molti miliardi, di proporzioni eccessive e di grande immagine per una chiesa che vive oggi una situazione cittadina di così ampie povertà, di scarsa partecipazione dei credenti, di riduzione sempre più consistente del clero, che già oggi non è in grado di soddisfare i bisogni delle parrocchie esistenti. I credenti che in tempi passati hanno accolto e condiviso il messaggio dei Padri del Concilio Vaticano II, i quali chiedevano una «chiesa povera e serva», sono rimasti perplessi e critici nei confronti di una iniziativa di tali proporzioni e costi. A favore – a dir la verità – si era peraltro pronunciato pubblicamente anche don Mario Operti, vicario del vescovo, uno tra i preti più attenti alla realtà sociale, poi mancato. Molti si domandavano inoltre di dove sarebbe venuto il denaro per far fronte a queste spese. I responsabili hanno risposto che, oltre ai contributi dello stato, si sarebbe provveduto con il sostegno delle Fondazioni bancarie e con parte dei cespiti dell’otto per mille devoluti alla costruzione di nuove parrocchie, poiché nel frattempo il «Santo Volto» era stato a tal fine “declassato” a parrocchia. A questo punto il Vescovo ha voluto sentire il parere dei preti facendo una votazione segreta che pensava – forse – essere plebiscitaria. Alcuni laici, membri del Consiglio pastorale diocesano, si aspettavano di essere interpellati dal vescovo in quella sede che, secondo lo spirito del Concilio, è il luogo dei consiglieri del vescovo per l’attività pastorale della diocesi. Tale esigenza è stata espressa in una richiesta formale alla presidenza del Consiglio pastorale diocesano da don Carlo Carlevaris, che ne è uno dei membri eletti; gli sembravano infatti del tutto pertinenti le osservazioni di laici i quali ritenevano che la consultazione dei preti sarebbe dovuta essere accompagnata da quella dei membri del Consiglio, quali rappresentanti della parte più ampia dei credenti di questa chiesa. Essi si sentivano interessati da una decisione di così ampio respiro e di pubblica e critica attenzione. In occasione del Consiglio pastorale del 10 novembre scorso, alla richiesta presentata, il Vescovo ha rifiutato di metterla all’ordine del giorno, giustificandosi con il fatto di non essere «obbligato» dal diritto canonico ad interpellare il Consiglio, mentre aveva ottemperato alle disposizioni canoniche interrogando il Consiglio presbiterale, composto di soli preti. Questa risposta ha sconcertato una parte del Consiglio, soprattutto i laici, che dedicano tempo e cura al Consiglio stesso e che ritengono di essere in qualche modo responsabili e certamente partecipi della vita e della presenza della chiesa nella nostra diocesi. Don Carlevaris si è fatto voce di questo disagio, avendo l’impressione che esso fosse legittimo e che la risposta del Vescovo fosse risultata offensiva nei confronti dei laici presenti, che non avevano mancato di commentarla amaramente in tal senso senza avere la possibilità di esprimersi. Questi sentimenti e le sue riflessioni sono stati espressi in un articolo inviato a «La Voce del Popolo», che però non l’ha pubblicato. Il 4 dicembre scorso il Vescovo ha comunicato a «La Voce del Popolo» e al clero che l’esito della votazione tra i sacerdoti ha dato i seguenti risultati: partecipanti alla votazione: 431; sì al progetto: 52,4%; no al progetto: 47,6%; schede bianche: 15. Il vescovo, accertata la maggioranza di consensi espressi, ha pertanto deciso di proseguire l’iniziativa con un notevole ridimensionamento delle opere. [ ] |