IL CROCEFISSO, IL DIRITTO E LA STORIA |
I segni della fede |
A Hai visto come il cardinal Poletto ha reagito alla richiesta di alcune mamme magrebine di togliere il crocefisso dalle aule della scuola materna statale dei loro figli? B L’ho letto su «La Stampa» del 31 dicembre scorso e mi ha molto preoccupato. A Perché? B Perché ha detto che «i musulmani non hanno diritto di chiederci di cancellare i segni della nostra fede». A E non ti sembra che un capo della nostra religione abbia il dovere di difendere i segni della fede dai tentativi di cancellarli, magari per fare spazio a quelli di altre fedi? B Quelle mamme magrebine non chiedono di cancellare i segni della fede cristiana ma di toglierli dalle aule scolastiche dello Stato. A E non è questo un «cancellare i segni della fede»? B Sì, ma da uno spazio statale, uno spazio di tutti e di nessuno, dove tutti possono sentirsi a casa propria ma nessuno può comportarsi da padrone, uno spazio che non può essere discriminato da nessun segno religioso, né di maggioranza né di minoranza. A Ti riferisci all’articolo 3 della Costituzione? B Certo, ma anche alla differenza fra lo Statuto albertino che si apriva con la proclamazione della religione cattolica come religione di Stato e la Costituzione repubblicana che non riconosce nessuna religione di Stato. Mi riferisco alla cultura liberale e alla distinzione cavouriana di Stato e Chiesa. A Ma, allora la religione deve restringersi nei limiti della vita privata? B Niente affatto. Statale non è sinonimo di pubblico: lo Stato copre solo una parte dello spazio pubblico. Quindi niente e nessuno può impedire manifestazioni pubbliche di vita religiosa e pubbliche presenze di simboli religiosi. A Tu, cioè, proponi di distinguere non solo il pubblico dal privato, ma nel pubblico lo statale dal non statale. B Non sono io a proporre questa distinzione ma la lunga storia della formazione dello Stato moderno e, ormai, anche il vocabolario della lingua italiana. A Dobbiamo quindi contare fino a tre: privato, pubblico e statale? B Esattamente, e non fermarci alla dicotomia pubblico e privato, come si fa spesso anche parlando di scuola. A È vero. Nella scuola si usa spesso la dicotomia pubblico-privato, mentre sarebbe molto più corretto usare la dicotomia privato-statale. È questo che vuoi dire? B Voglio dire che anche la scuola privata è pubblica, nel senso che è aperta al pubblico e al servizio del pubblico ma è in mani private come tanti spazi pubblici gestiti da privati. La scuola statale, invece, non solo è aperta al pubblico e al servizio del pubblico ma lo è secondo i dettami delle leggi costituzionali, compreso l’articolo 3. È cioè pubblica senza limitazioni private, piccole o grandi, maggioritarie o minoritarie. E così torniamo all’inizio del nostro discorso, alla richiesta delle mamme magrebine di togliere il crocefisso da uno spazio pubblico e statale. A Ma queste mamme sanno bene che al loro paese d’origine una richiesta come la loro sarebbe inconcepibile. Perché pretendere dal paese che le ospita quel che nel loro paese non sarebbe mai concesso? B Questa obiezione non ti fa onore, anche se ti mette in una folta compagnia. La nostra Costituzione vale su tutto il territorio italiano e non solo per le persone di origine italiana. La differenza tra il diritto barbarico e quello civile è proprio questa: il primo vale per le persone che appartengono a un popolo, a una tribù, l’altro vale sul territorio per tutte le persone che lo abitano. A Hai ragione, ma perché dare ai musulmani quello che loro non darebbero mai agli altri? B Non si tratta di «dare» qualcosa ai musulmani ma di praticare con coerenza i nostri principi costituzionali, di essere noi stessi e non di fare una concessione. Se non applichiamo per la loro richiesta i nostri principi costituzionali, ci pieghiamo alla loro civiltà giuridica e l’adottiamo, diventiamo subito quello che molti temono, un paese islamico. A La tua osservazione mi colpisce con forza, mi spiazza. Ci devo pensare. Ma, ammesso che tu abbia ragione, resta il pericolo serio che l’Europa perda rapidamente la sua identità, di cui il crocefisso è simbolo importantissimo. B Togliere il crocefisso dallo spazio statale non significa cancellarne la presenza nella storia dell’Italia e dell’Europa ma fare in modo che i simboli rappresentino tutta la storia dell’Occidente, compresa l’affermazione della concezione laica dello Stato, di cui l’assenza di simboli religiosi nello spazio statale è simbolo chiarissimo. Come vedi si tratta di dare allo Stato il suo simbolo adeguato, realizzato per sottrazione. A Ma uno Stato così non rischia di essere un’astrazione vuota? B Se vuoto significa che nessuno, neppure una storica e larga maggioranza religiosa, può imporre allo Stato il suo simbolo mi va benissimo il vuoto. A Ma il crocefisso è simbolo anche delle minoranze religiose protestanti. Anche quando l’Occidente si scannava nelle guerre di religione si riconosceva nell’unità del simbolo della croce. Perché togliere dai simboli politici l’ultimo elemento di unità europea rimasto quando le molte guerre di religione hanno distrutto l’Europa? B Intanto, anche allora restava fuori dalla copertura simbolica ogni minoranza non cristiana come gli ebrei, gli atei e chi non aveva chiese. Quel simbolo era di una maggioranza quasi uguale alla totalità mentre adesso quella coperta si restringe ogni giorno. Ma, soprattutto, le minoranze vanno tanto più tutelate quanto più sono piccole. La prudenza politica consiglia poi di prendere in considerazione i loro sentimenti quando sono in espansione. La laicità è imperativo morale e virtù politica. A Ho una certa diffidenza nei confronti dei laici e del laicismo: in Italia il laicismo è spesso protestantesimo mascherato. B Il mondo laico è molto eterogeneo e al suo interno ci sono anche protestanti più o meno scoperti. Questo però non toglie nulla all’universalità dello Stato laico ma la conferma. A Mi lascia perplesso quest’universalità astratta dello Stato. Dello Stato ci resta il guscio vuoto. B L’universalità non può che essere astratta. Il concreto è per definizione particolare. Lo Stato di tutti si raggiunge solo per sottrazione, esautorando altri poteri particolari, come insegna anche la formazione dello Stato moderno. A Mi viene da pensare al deperimento dello Stato di marxiana memoria. E mi pare che questo Stato sia piuttosto utopico. B Lo Stato ideale non può che essere utopico, ma un’utopia che dà senso alla storia come cammino verso un mondo di tutti dove nessuno abbia più il potere di fare il prepotente. Un cammino nel quale il potere dello Stato si costruisce demolendo poteri concreti e particolari, compreso quello di mettere e di mantenere sullo spazio statale un simbolo religioso. A Tu sostieni quindi che togliere il crocefisso dalle aule e dagli uffici dello Stato sia un’operazione politica che nulla abbia a che fare col suo significato religioso? B Non solo, penso che restituisca al simbolo religioso tutto il suo valore. A I segni pubblici della fede non sono in pericolo? B Assolutamente no. Il cardinal Poletto può stare tranquillo: chi vuole togliere il crocefisso dallo spazio statale non apre la strada che porterebbe a distruggere chiese e basiliche. A Ma non ha detto questo. B Ti leggo le sue parole: «Quando sento che si vorrebbe far togliere i crocefissi, dico che dobbiamo difendere i segni non solo della fede, ma della cultura cristiana che è parte integrante della storia dell’Italia e del mondo. Ma i segni della fede sono anche le basiliche e le chiese. Vorranno venire a dirci che bisogna distruggerle perché sono cristiane? Nessuno ha il diritto di cancellare la storia». A Ma quelle frasi sono un’esagerazione retorica da non prendere troppo sul serio. B Spero che tu abbia ragione. Io temo che in quelle frasi infelici del cardinale ci sia anche un po’ del veleno dello scontro di civiltà che l’attacco barbarico e supertecnologico dell’11 settembre all’America ha scatenato. Uno scontro in cui le identità culturali s’irrigidiscono e si riducono ad armi, perdendo con l’elasticità lo spirito della cultura. Giuseppe Bailone |