Agostino o Fukuyama?

La caduta delle torri gemelle non ha travolto la mia teoria della fine della storia, dice Fukuyama, anche se molti miei critici hanno subito visto nel disastro dell’11 settembre una clamorosa smentita della mia tesi («la Repubblica» del 19 ottobre).

È vero che le teorie hanno la capacità di nutrirsi dei fatti, di tutti i fatti, anche di quelli più contrastanti o refrattari, per confermarsi. Ma il mio pensiero va ad Agostino e al primo sacco di Roma, al primo crollo del mondo antico. Per vincere lo sgomento Agostino ripensò al senso della storia e scrisse La città di Dio.

Quando la realtà ci travolge, vien da difenderci assimilandola a fatti del passato ormai digeriti e sistemati nel nostro ordine storico. Ad Agostino e al saccheggio di Roma del 410 ho pensato quando la televisione ha stordito i miei occhi e vanificato le mie parole con l’attacco all’America.

Per salvare il suo mondo Agostino guardò fuori della storia e trovò nella città di Dio l’ideale 
capace di riaprire la storia, di darle respiro e di sottrarla alla presa devastante dei fatti.

Fukuyama trova nel terribile attacco all’America conferma alla sua teoria scritta quando l’America stava trionfando sul suo nemico planetario. L’America trionfante e l’America dilaniata dicono entrambe che la storia è finita, che la corsa del plurimillenario progresso si è conclusa: al traguardo è arrivata l’America.

Con la democrazia e il libero mercato la corsa della storia è finita: il futuro è già tutto nel presente, si è dissolto in dilatazione del presente. Alla storia ormai non resta che promuovere, non senza contrasti di cui l’attacco all’America è un caso clamoroso, il modello occidentale.

Nessun apologeta dell’Occidente è mai stato tanto spudorato. Neanche quelli che avevano teorizzato «il fardello dell’uomo bianco»: il primato dell’uomo bianco era pur sempre all’interno di un progresso storico di cui non si vedeva il traguardo.

La fine della storia è l’espressione ideologica dell’arroganza dell’Occidente. L’arroganza che, colpita a tradimento e con l’infrazione di ogni regola di civiltà, ha rotto anche il silenzio della Fallaci, travolgendola nell’esplosione viscerale della rabbia e dell’orgoglio.

Ma l’America, per riprendersi, perché non rilegge l’opera che uno dei suoi padri più remoti e più autorevoli scrisse per vincere lo smarrimento del senso della storia, invece di affidarsi agli attuali apologeti che hanno perso il futuro e la capacità di guardarsi con distacco?

Imparerebbe a rialzare gli occhi al cielo invece di continuare a tirare giù il cielo per garantire la propria arroganza e presunzione. Forse riuscirebbe a schiodare Dio dalle proprie banconote e restituirlo alla trascendenza che crede di aver portato a casa. Riuscirebbe a riscoprire l’idealità come altra dal reale e non come sua dilatazione, riuscirebbe a riaprire la storia e darsi un futuro che non è ancora.

Giuseppe Bailone


 
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