Editoriale
Stavamo per scrivere una nota su Palestina-Israele, quando ci cade sott’occhio questo pezzo di Riccardo Orioles (vedi sotto).
Lo proponiamo ai lettori del foglio. Anche se pure Orioles rimane equidistante. Almeno non pesta soltanto Arafat prigioniero, come ormai fanno tutti, ultimo Kofi Annan.

Anche se resta chiaro, nell’amarezza immensa e nella vergogna che in questi tempi si ha di essere nella famiglia umana, che dei due colpevoli il più vittima dell’altro è il popolo palestinese. Per verità e giustizia bisogna dirlo (vedi anche Muller a pag. 3).

Si sta con la vittima non perché innocente, ma perché vittima. I cristiani furono perseguitati a morte per la loro fede. E poi perseguitarono a morte chi non accettava la loro fede. L’essere stati vittime – l’abbiamo ricordato nella Giornata della Memoria con tutto il rispetto e la partecipazione – non assolve gli israeliani dal far vittime oggi.

Secondo La Stampa (25 gennaio) il rabbino americano Singer, ad Assisi per la preghiera del giorno prima, avrebbe  gridato, rifiutato da altri americani, cattolici: «La Bibbia ci insegna a combattere i nostri nemici, spietatamente e senza misericordia. E noi abbiamo combattuto i nostri nemici».

Se un dio insegna l’inimicizia quello non è Dio. Meglio senza dio che con un tale dio. E se un libro insegnasse direttamente quello, senza contraddirsi e senza correggersi nell’evoluzione successiva, non sarebbe ispirato da Dio. E chi pregasse così bestemmierebbe, in qualunque religione del mondo.

Risalire alla ricerca di chi ha cominciato è scendere sempre più nell’abisso. Il merito sarà di chi comincia a smettere. La rappresaglia è male, non meno e semmai più della violenza a cui reagisce. È vero quello che dice il papa: giustizia per fare pace, ma perdono per fare giustizia. Noi l’abbiamo scritto: non c’è pace senza perdono. Chi dei due, chi fra i due popoli sa capirlo, volerlo e farlo per primo? A questo andrà l’unico vero merito, diritto, vittoria.

Se la politica non include anche il perdono – quella cosa da “anime belle”, sì – resterà l’inferno che è.

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Palestina/Israele. Il sito www.palestinanelcuore.it, curato da un’esponente autorevole dell’Autorità palestinese, è linkato fra l’altro col sito di Radio Islam; il quale ultimo, fra i suoi link, ospiterebbe anche materiali antisemiti, fra cui concetti tratti dai Protocolli dei Savi di Sion, il famoso pamphlet antisemita a suo tempo inventato dalla polizia zarista.

La segnalazione è di un’amica ebrea che, dopo averla mandata a numerose testate giornalistiche e televisive («Ho spedito un centinaio di mail denunciando questo») che l’hanno rimossa, si è infine rivolta alla «Catena» perché questa notizia non risultasse ignorata. La riprendiamo, com’è nostro dovere, e ci permettiamo tuttavia di aggiungere delle considerazioni.

Se quanto segnalato è vero, non è la prima volta che la lotta di liberazione palestinese viene inquinata da rigurgiti antisemiti. Non sono mai stati, a mio parere, determinanti; e tuttavia ci sono. Su questo bisogna essere chiarissimi: la politica del governo israeliano è una cosa, il rispetto per il popolo ebraico un’altra. “Ebreo” e “israeliano” sono due parole diverse. Questo vale per tutti: né gli israeliani possono invocare la shoà per giustificare il diritto a una politica coloniale; nè i palestinesi possono dimenticare la shoà nel momento in cui i figli delle sue vittime agiscono con violenza contro di loro. Molto di più questo dovere incombe sugli intellettuali europei delle due parti, che non hanno – come israeliani e palestinesi – l’attenuante delle violenze patite in passato o adesso.

Antisemitismo (tecnicamente: ostilità per i popoli semiti) è, a mio parere, sia l’odio che si rivolge contro gli ebrei in quanto tali, sia quello che si rivolge contro gli arabi in quanto tali. Fallaci, in questo senso, equivale esattamente a Interlandi. In Europa e in America (perché nessuno mai nota questo?) i gruppi, le culture e i partiti che oggi si esprimono razzialmente contro gli arabi sono esattamente gli stessi che ieri (ma anche oggi) si esprimevano contro gli ebrei.

La follia, l’egoismo e la barbarie delle classi dirigenti delle due parti sono ormai pressoché equivalenti. Entrambe tradiscono i rispettivi popoli. Sharon tradisce l’Exodus, tradisce Israele. Hamas tradisce le Mille e una notte e il Saladino, tradisce la lunghissima tolleranza mediorientale fra le religioni. Entrambi si giustificano (in buona fede, purtroppo) con la ferocia del nemico. Entrambi scherniscono e cacciano, o uccidono addirittura, i propri esponenti non-fanatici e meno votati alle stragi. Entrambi preparano altre stragi, entrambi giustificano o negano le stragi passate. Entrambi.

Entrambi: è questa la parola-chiave, oggigiorno, per capire la Palestina/Israele. Entrambi ormai sono terroristi. Entrambi sono ormai privi della capacità di gestire razionalmente se stessi. Questo significa che una terza parte – io auspico che sia l’Europa – prima o poi dovrà intervenire sugli uni e gli altri, prescindendo dalle loro volontà, esattamente come si fa per i bambini o i pazzi. Costoro – israeliani e palestinesi – sono infatti oramai molto più pericolosi per il mondo di quanto lo siano stati i talebani. Entrambi.

Mi rendo conto di quanto questa posizione sia impopolare, di quanta ostilità possa attrarre dai simpatizzanti “turistici” dell’una e dell’altra parte. Io credo che per un intellettuale europeo essa sia ormai doverosa. La bestiale politica degli uni e la cupa ferocia degli altri hanno ormai portato a questo bel risultato, che in quella parte del mondo è ormai considerato normale uccidere o fare uccidere bambini: lo scrivono sui muri gli uni, e gli altri lo proclamano sui giornali. È per questo, e non per gli squallidi “revisionismi” gonfiati dai media di qualche professore rimbecillito, che oggi l’antisemitismo è tornato fra i protagonisti della scena culturale. Quando i palestinesi oggi (a ragione) gridano: «Gli israeliani bombardano i nostri bambini», io rispondo: «Pensate alle persone innocenti che avete ucciso con le vostre bombe». Quando gli israeliani (a ragione) denunciano: «Costoro danno spazio agli antisemiti», io rispondo: «Ma voi, qui ed ora, siete una Wermacht».

Ecco. Nessuna solidarietà, né agli uni né agli altri; che pure, per diversi motivi, la meriterebbero entrambi. Ma la solidarietà, oggi, confina con l’essere complici. È un modo di rimuovere l’insieme della tragedia, di parlar d’altro. Noi europei – gli iniziatori storici, in realtà, del dramma di Palestina/Israele – non abbiamo questo diritto.

Riccardo Orioles ()

(da «Catena di Sanlibero» n. 110, 25 gennaio 2002)

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