DUBBI |
I valdesi sono gli eredi di Valdo? |
I dati storici che seguono sono tratti dalla recente opera di Carlo Papini Valdo di Lione e i «poveri nello spirito» – Il primo secolo del movimento valdese (1170-1270), Claudiana 2001. Data la scarsità delle fonti dirette, la maggior parte dei documenti ci giungono dalla parte avversa, come per tutti i movimenti “ereticali” del Medioevo. Tuttavia negli ultimi decenni nuove fonti sono state scoperte e studi più approfonditi hanno permesso, attraverso un serrato lavoro di confronto critico, di giungere ad una conoscenza sufficiente del pensiero e della prassi del movimento iniziato dalla conversione del mercante Valdo di Lione intorno al 1173. Ritorno alla rivoluzione evangelica. Il movimento valdese appare come l’annunciatore di uno stile di vita e di chiesa caratterizzato dalla povertà, dalla nonviolenza, dal rifiuto sovversivo del potere mondano. 1) Povertà. La conversione di Valdo, ispirata dall’episodio evalgelico del “giovane ricco”, consiste nella spoliazione totale. Gettando per terra le sue ultime monete, disse ad alta voce: «nessuno serve due padroni... Non sono impazzito come voi pensate... d’ora in poi, se mi vedrete possedere del denaro, dite pure che sono pazzo» (101). Dalla Professione di fede di Valdo del 1180 (approvata dal papa) leggiamo: «Abbiamo rinunciato al mondo e quel che avevamo, come ci è stato consigliato dal Signore, l’abbiamo distribuito ai poveri e abbiamo deciso di essere poveri così che non ci curiamo di preoccuparci per il domani e non accetteremo da alcuno oro né argento o cose del genere, eccetto il vestito e il vitto quotidiano» (143-144). Dal liber antiheresis di Durando d’Osca emerge che i valdesi attuavano uno sciopero spirituale di fronte alle forme economiche vigenti (214): «Se il Signore avesse voluto che gli apostoli fossero intenti ai lavori terreni e ad accumulare denaro, non avrebbe additato loro l’esempio degli uccelli del cielo... poiché sapeva bene che nessuno il quale sia coinvolto negli affari terreni può predicare liberamente» (266). 2) Nonviolenza. «Chi infligge, o acconsente che altri infligga, una punizione corporale ai malfattori, pecca in modo criminale» (424). «È lecito respingere la violenza con la forza, ma con la moderazione di una protezione senza colpa, cioè difendendoci senza uccidere l’altro, come quando arrestiamo i nostri nemici, oppure fuggiamo, ma non li uccidiamo» (200). «Non è lecito difendersi né punire un altro con la guerra» (434). «Il papa e tutti i vescovi sono omicidi a motivo delle guerre che scatenano contro i cristiani, i pagani e gli eretici» (436). 3) Rifiuto sovversivo del potere mondano. «Tra i cristiani non vi devono essere re né principi che esercitano la spada materiale, perché al tempo di Cristo, la dignità regia è decaduta tra i fedeli... nella chiesa di Dio non vi devono essere re né potenti perché costoro non sono stati istruiti da Dio e quindi sono contro Dio» (425-426). Il rifiuto dell’uso della forza e il rifiuto del giuramento («non mentire, non giurare, non uccidere») era un atto rivoluzionario: «il giuramento era stato sacralizzato dalla chiesa e costituiva il fondamento della società del tempo, l’anello di collegamento che univa ogni inferiore al suo superiore nella piramide gerarchica della struttura feudale. Contestare tale fondamento voleva dire mettere in pericolo la pace sociale, anzi estromettersi totalmente dalla legalità e dal mondo civile» (195). Lo scisma della Chiesa di Roma. Nel corso del XII secolo la curia romana aveva intrapreso una severa riforma disciplinare della chiesa e per questo si serviva del movimento popolare come forza di pressione (23). In questo quadro si ha un incontro tra la volontà di rinnovamento morale dell’istituzione ecclesiale e l’itinerario spirituale di Valdo di Lione (119) che intendeva prendere sul serio il Vangelo, visto che nessuno lo faceva, tanto meno i chierici (81). Il vescovo di Lione Guichard prende a cuore la causa di Valdo e lo spinge a recarsi a Roma dove il papa Alessandro III accoglie Valdo ed i suoi in modo eccezionalmente favorevole approvando la nuova fraternità laica e concedendo a Valdo il tradizionale abbraccio rituale (131). Per circa tre anni (1179-1182) il movimento valdese fu ufficialmente riconosciuto (59) e, se non fossero morti Alessandro e Guichard, forse sarebbe diventato il primo Ordine mendicante della storia (124). Si ha invece un progressivo irrigidimento di Roma, sia sul piano disciplinare sia su quello dogmatico: la transustanziazione diviene dogma nel 1215 e così pure nello stesso anno viene istituito l’obbligo della confessione auricolare; l’esistenza del purgatorio diventerà dogma nel 1274 (141-143). Da parte valdese, non si notano irrigidimenti, né spirito anticlericale, anzi, come abbiamo visto, si vuole procedere in piena armonia con l’alto clero (115). Anche dopo la prima solenne condanna da parte cattolica, così si esprimeva il teologo Durando d’Osca: «Per quanto molti di costoro [vescovi, cardinali, papi... ndr] compiano opere malvagie, tuttavia essi hanno conservato (servaverunt) la fede apostolica e i sacramenti ecclesiastici senza i quali nessuno può salvarsi. Gloria dunque, onore e pace a chi avrà saputo scegliere dagli uni e dagli altri le cose utili ed evitare le nocive» (269). Profondo è il desiderio di trovare e riconoscere una continuità di salvezza nella storia della chiesa, a costo di ingenue forzature. Come molti pensatori medievali, i valdesi individuavano nell’età di Costantino l’inizio della degenerazione della chiesa. Ma vi è sempre stato un piccolo “resto”. Alle spalle del “restauratore” Valdo è esistito un numero di testimoni che risalgono all’epoca degli apostoli (439). Vi è dunque un grande rispetto per la chiesa cattolica ed una precisa volontà di non rompere l’unità della chiesa. A questa cattolicità valdese si contrappone il settarismo di prelati e teologi filoromani. L’accusa che rivolgono ai valdesi è di essere eretici: la prova dell’eresia non risiede nella Scrittura e neppure nella tradizione (i valdesi spesso si rifanno alla tradizione patristica) ma nella disubbidienza. E la prova del dovere di obbedire (a loro, s’intende!) è ancorata ad una visione gerarchica (tutt’altro che spirituale) della realtà: «Gli animali bruti ubbidiscono gli uni agli altri; e questo è chiaro anche negli animali più piccoli, come nelle api: infatti anche le api hanno una regina» (190). I teologi cattolici rinfacciano ai valdesi la mancanza di miracoli (179). Ma la povertà volontaria, la nonviolenza, la contestazione del potere non sono proprio i miracoli che Dio solo può compiere (Mt 5,25; 19,26; Lc 1,52)? Lutero era valdese? L’incontro del movimento valdese con la Riforma ha liberato i valdesi dal pericolo di ripiegarsi in se stessi. Una sana iniezione di teologia protestante li ha inoltre vaccinati da ogni forma di fondamentalismo. Diversamente dal rifiuto cattolico, le chiese protestanti hanno accolto la chiesa valdese, malgrado le differenze. E le differenze ci sono. Il “barba” (era chiamato «barba» cioè «zio» per non farsi chiamare “padre” (cfr. Mt 23), l’anziano della comunità) Morel così scriveva al riformatore Ecolampadio: «Non vi è nulla che maggiormente turbi noi deboli di ciò che ho udito e letto in Lutero intorno al libero arbitrio e alla predestinazione di Dio» (480). Nelle dichiarazioni approvate dall’assemblea di Chanforan (1532), che decise l’adesione alla Riforma protestante, non vi è alcun accenno alla giustificazione per Grazia mediante la fede (481). È significativo che, nell’indice dei passi biblici citati nel libro di Papini, si notino 54 citazioni di Matteo e nessuna citazione dei primi 11 capitoli dell’epistola ai Romani (516). E i valdesi di oggi che cosa hanno in comune coi poveri di Lione, coi “barba” miti e disarmati, perseguitati per la causa della giustizia? Che cosa ho in comune io, benestante e tranquillo, che non dò fastidio a nessuno? Occorre meditare sulle conclusioni del testo di Papini: «Non c’è dubbio che, per aderire alla Riforma protestante, nel 1532, i valdesi dovettero rinunciare a posizioni non solo pienamente difendibili ma anche sicuramente evangeliche... Cristo era stato deformato in difensore dello status quo per giustificare l’ordinamento esistente e le sue pretese di potenza. I riformatori protestanti ereditarono questa concezione dalla chiesa medievale e la imposero ai valdesi... Tutte le chiese protestanti devono, in piena fedeltà al messaggio dei Riformatori, ascoltare oggi nuovamente su questo punto la testimonianza della “prima Riforma” e andare alla sua scuola. Paolo e il Sermone sul monte e Matteo 10, i testi fondamentali della Riforma e i testi fondamentali della “prima Riforma”, ci indicano oggi la via cristiana» (481). Ed infine una provocazione (nel 1949) del teologo valdese Miegge (Scritti teologici, Claudiana 1977, p. 136): la “missione” dei valdesi rischia di essere «una missione di moderati, di adulti, di beati possidentes: è possibile che l’eredità dei discendenti di Valdo e dei Barbi si riduca a questo?». Dario Oitana |