SERVIZIO CIVILE VOLONTARIO |
L'omicidio del padre |
Quella che segue è la parte finale della relazione di Raniero La Valle al convegno organizzato dal Tavolo Enti Servizio Civile della Provincia di Torino sul tema «Servizio civile volontario. Si parte!» il 27 novembre 2001, in cui ha sostenuto che «il Servizio Civile Volontario, istituito con legge 6 marzo 2001 n. 64, nasce da un peccato originale»: «l’uccisione del padre», appunto, «cioè di quel Servizio civile che, all’interno di una opzione attiva di pace, era originato dall’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio, e perciò si poneva come sua alternativa sancita dall’ordinamento ... Solo che questo padre non muore di morte naturale: è stato ucciso».
Dopo l’approvazione della nuova legge sul servizio civile 8 luglio 1998 n. 230, per affermare il passaggio all’esercito professionale c’era una sola risposta possibile, che del resto era stata preparata politicamente e propagandisticamente negli anni precedenti, man mano che la riforma si avvicinava al traguardo: la risposta era l’abolizione dell’esercito di leva. Finito l’obbligo, finita l’obiezione. Ma poiché l’obbligo è costituzionale (e proprio su questo si era basata la veemente opposizione all’obiezione) si volle evitare il difficile e lungo procedimento della riforma costituzionale, e si trovò l’escamotage di dichiarare la coscrizione obbligatoria semplicemente sospesa. E così, in silenzio, con un gioco di palazzo, è finita in Italia l’obiezione di coscienza al servizio militare. Ne restava però uno dei frutti più importanti, il Servizio civile, che naturalmente a questo punto poteva essere solo volontario, e privo del suo significato di alternativa e di critica alla organizzazione militare. Tuttavia io credo che il nuovo Servizio civile dovrebbe riguadagnare quello spirito. La vittoria di Antigone. La lunga discussione sull’obiezione di coscienza aveva tuttavia portato a delle grandi acquisizioni. Anzitutto una interpretazione dinamica del diritto positivo, che smentiva la critica di quanti lo considerano «un sistema statico». Si realizzava una crescita per via ermeneutica della stessa Costituzione, non con un innesto di elementi estranei, ma attraverso un’interpretazione della Costituzione attraverso la stessa. È ciò che si è fatto facendo interagire l’art. 52 (servizio militare obbligatorio) con l’art. 11 (ripudio della guerra e ordinamento di giustizia e di pace tra le nazioni), oltre che con gli articoli sui diritti fondamentali. Inoltre la vittoria, dopo due millenni, di Antigone, il primato della coscienza non contro la legge della città, ma come legge della città. Il conflitto era stato correttamente interpretato dal legislatore non come un conflitto tra obbedienza e libertà, ma come un conflitto tra due obbedienze, che in determinate circostanze lo stesso legislatore poteva risolvere a favore dell’obbedienza alla coscienza rispetto all’obbedienza alla legge. Perciò, dopo la legge 230 e dopo la sentenza 467 della Corte si può dire che alla vigente definizione costituzionale, secondo la quale «l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro», si potrebbe sovrapporre la definizione secondo la quale «l’Italia è una Repubblica fondata sulla coscienza». Infine veniva trasferito dalla Costituzione alla legge ordinaria il principio pacifista, veniva introdotta l’educazione alla nonviolenza, veniva sancito un servizio all’estero non come soldati in armi, ma come obiettori solidali. La rivincita (annunciata) della guerra. E qual è il lutto da prendere per la perdita dell’obiezione di coscienza? A me sembra una perdita molto grande nel momento in cui la guerra diventa abituale. Abbiamo avuto tre guerre in dieci anni, ciò che non solo contraddice l’art. 11 della Costituzione, ma lo rovescia: l’Italia richiama a sé e sposa di nuovo la ripudiata, sposa la guerra come strumento ordinario della sua politica internazionale e del suo modo di vita. Dunque oggi il quadro è completamente cambiato e sembra perfino patetico ricordare la vecchia, cara obiezione di coscienza al servizio militare. Essa aveva diritto di cittadinanza quando la guerra era circondata da un generale discredito sociale, ripudiata dall’Italia, messa fuori legge e considerata come un “flagello” dalla Carta delle Nazioni Unite; in ogni caso era considerata come un evento eccezionale e patologico. Ma dopo la rimozione del Muro di Berlino, dopo la fine dei blocchi, i Nuovi Modelli di Difesa hanno cominciato a considerarla come praticabile e normale, non solo nel caso deprecabile di un’aggressione, ma come mezzo ordinario per tutelare gli “interessi esterni” dell’Italia e dei suoi alleati; interessi tra i quali «rivestono preminente rilevanza», come recitava il Nuovo Modello di Difesa italiano dell’ottobre 1991, quelli «che direttamente incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo, in quanto condizione indispensabile per la conservazione e il progresso dell’attuale assetto politico e sociale della Nazione»; tutela da operare ovunque sia necessario e «anche in zone non limitrofe». In quel documento già si intravedeva nel Sud, nell’Islam, il nuovo nemico; infatti, facendo riferimento al conflitto arabo-israeliano, interpretato come una «contrapposizione tra tutto il mondo arabo da un lato, sia pure con formule e sfumature diverse, ed il nucleo etnico ebraico dall’altro», il “Modello” affermava che tale conflitto poteva «essere considerato un’emblematica chiave interpretativa del rapporto Islam-Occidente». La guerra religiosa era dichiarata già allora. Tutti gli apparati bellici approntati per la guerra Est-Ovest erano dirottati e riconvertiti per fronteggiare la minaccia all’Occidente dal resto del mondo. Un nuovo modo di obiettare. Quando il ministro della Difesa Rognoni presentò per la prima volta quel nuovo Modello alla Commissione Difesa della Camera il 26 novembre 1991, fu una sorpresa; nel resoconto stenografico di quella seduta leggo quella che fu la mia prima reazione: «Quello che il governo ha proposto non è un modello di difesa ma una riforma istituzionale, cioè un nuovo modello di Stato, di relazioni internazionali, di alleanze militari e di soluzione delle controversie internazionali. Tali modelli... coinvolgono le norme costituzionali, gli impegni internazionali che l’Italia ha contratto nell’ambito dell’organizzazione universale delle Nazioni Unite, i trattati che l’Italia ha concluso con i paesi dell’Alleanza atlantica e di cui adesso si propone la modifica; ed infine una nuova ipotesi di rapporto tra strumenti politici e militari nelle controversie internazionali». È significativo che quando nel febbraio 1992, dopo il rinvio di Cossiga, la Camera riprese l’esame della legge sull’obiezione di coscienza, il Governo presentò un solo emendamento sostanziale, che mirava a mettere una bomba ad orologeria sotto la riforma, condizionandola al Nuovo Modello di Difesa e alla corrispondente riforma del servizio militare di leva. Tutto, dunque, era stato annunciato. Oggi siamo alla guerra globale, alla guerra infinita, alla guerra pervasiva e senza limiti di tempo, di spazio e di regole; una guerra ormai indistinta dalla pace, dalla politica, dalla vita. In questa guerra continua e universale è chiaro che non c’è posto per l’obiezione di coscienza, e che essa deve essere combattuta da eserciti professionali, specializzati, remunerati e sempre pronti all’esercizio. Allora bisogna trovare altri modi per obiettare alla guerra e lottare per la pace. Questi modi non possono che essere quelli della politica, e di una lotta pacifica e non violenta per una profonda riconversione delle strategie e delle scelte internazionali e interne dell’Occidente. Il problema è quello di un diverso rapporto col mondo; il mondo esterno all’area dei Paesi industrializzati e del benessere non è un mondo da esorcizzare, da escludere e da tenere a bada con le armi. Il mondo è un mondo da assumere, da accogliere e da riconoscere nella sua unità e indivisibilità. Solo se l’Occidente assumerà come orizzonte e come criterio della propria politica l’unità dell’intera famiglia umana, potrà uscire da questa spirale di una guerra infinita e globale, e potrà intraprendere il cammino del diritto e della pace. Raniero La Valle |