LETTERE |
Ancora sulla tolleranza |
Spett. Redazione, la vostra munifica ospitalità m’induce ad un ulteriore intervento [vedi il foglio 287], per rimediare alla mia “oscurità” circa la tolleranza-vizio. La citazione del dizionario Treccani è un’autorevole conferma dell’equivoco in questione. Mi spiego: la tolleranza può assurgere al novero delle virtù, soltanto se intesa come “accettazione consapevole – e spesso sofferta – non già di qualsiasi comportamento diverso dal nostro (come appunto recitano tutti i dizionari), ma unicamente di quei comportamenti che non attengono al bene comune o, comunque, di terzi. L’equivoco consiste nel ritenere virtuosa l’assenza di reazione a qualsiasi provocazione. Ma ciò significa abdicare all’impegno di ogni onesto nell’arginare il male, nel correggerlo e – siamo coerenti – nel porvi il dovuto rimedio. Eliminando questa clausola, sotto l’egida di un qualunquismo etico si degenera nel permissivismo complice, nel silenzio omertoso, nella correità e perfino nella più sordida collusione. Questa farsesca tolleranza finisce per scardinare proprio una virtù “cardinale”, la giustizia, trasformando, sotto la gaietta pelle della libertà, un paese democratico in una “casa di tolleranza”. Come confermano i fatti. Valerio Ferrua 18 gennaio 2002 |