ANNI ’60
Oh, come eravamo corrotti e viziati

La maggioranza dei redattori del foglio ha un’età che si aggira intorno ai sessant’anni (e così pure parecchi lettori). Siamo talvolta portati a criticare i giovani d’oggi. Ma quarant’anni fa, quando eravamo giovani, come ci giudicavano gli anziani di allora? A leggere i giornali (per es. «La Stampa»), eravamo corrotti e viziati, ossessionati dal sesso e dal denaro.

Ragazzine viziate.

«I giovani soffrono per la mancanza d’una fede – lamenta una professoressa su Specchio dei tempi – Di chi la colpa? Essi hanno bisogno di saperlo: e se noi non presentiamo loro, con persuasione profonda, un valore ideale per cui valga la pena di vivere ed anche di morire, essi avranno tutte le ragioni di maledirci. Invece da quando sono nati questi nostri ragazzi si son sentiti rintronar le orecchie e abbacinare gli occhi dall’esaltazione del piacere sessuale, con un ritmo ossessivo da tam-tam»  (4-8-1960).

Il comportamento delle ragazze di allora era guidato da uno sfrenato materialismo. Così si sfogano alcuni giovanotti. «Signorine diciottenni, non è forse vero che definite sciocco chi si comporta bene con voi? Dite che volete un fidanzato romantico? Ma no, carissime signorine, voi volete la macchina. E non quella da cucire o per fare il caffè, ma la 1800 o la Giulietta. E più bella è la macchina più interessante è chi ci sta sopra. Troppe di voi sono sempre disposte a uscire con uno che ha la macchina e tante volte non controllate nemmeno se è sposato. Non abbiamo mai trovato ragazze che sapessero parlare di teatro, di musica o dell’ultimo successo letterario. Sono invece informatissime su Modugno, Dallara e Sentieri»  (21-2-1960).

Un medico, allarmato dal diffondersi delle malattie veneree, chiede che la scuola conservi quella dignità austera che le è condizione di vita, vietando qualsiasi abuso negli abbigliamenti: «Ma è sufficiente osservare gli studenti all’uscita di qualche istituto secondario per rilevare la presenza di troppe ninfette più o meno bardotteggianti. La maggior parte di queste ragazzine sono essenzialmente e soprattutto ridicole nei loro atteggiamenti sofisticati. Sono elementi di mediocre intelligenza... Corrono il rischio di non fermarsi in tempo sulla cattiva strada, se non interverranno la persuasione e l’autorità di un padre o di un insegnante»  (5-3-1961).

Così Nicola Adelfi denunciava la degenerazione della società: «Al giorno d’oggi siamo tutti estranei... I cuori si stanno inaridendo. Sempre più esigui vanno facendosi i rivoli della simpatia umana, della sollecitudine verso il prossimo e la coscienza di essere tutti viaggiatori su una stessa terra appare un concetto superato. Altre idee, altri stimoli, persino altre esigenze spingono in una direzione opposta. Nel tipo di società che è andato formandosi nel secondo dopoguerra l’uomo viene misurato dalle cose che possiede e dalla quantità di denaro che guadagna... Le donne lasciano le cure della casa per procurarsi negli uffici e nelle officine il denaro che permette di acquistare altri elettrodomestici, un’automobile più comoda, abiti più eleganti»  (5-11-1960).

Pantaloni peccaminosi.

Le cause di questa catastrofe? Il cardinal Siri non ha dubbi. Le donne hanno cominciato ad indossare i pantaloni! Secondo il dottissimo porporato, tale indumento provoca una «alterazione della psicologia femminile, un danno fondamentale e, a lungo andare, irreparabile della famiglia, della fedeltà coniugale, della sfera affettiva e della convivenza umana... La questione dell’abito maschile delle donne va considerata come un elemento che alla lunga è macerante dell’ordine umano». Ma c’è chi ammette qualche eccezione. Emilio Servadio fa notare che talvolta i pantaloni coprono meglio della gonna: indossando i pantaloni in montagna «la donna evita intempestive esposizioni e non teme più certi scherzi del libeccio... Nelle grandi città italiane donne in calzoni se ne vedono di fatto pochissime. I calzoni in montagna, o in riva al mare, se indossati con disinvoltura da una donna ancora giovane, e di proporzioni non troppo giunoniche, costituiscono un capo d’abbigliamento pratico»  (5-8-1960).

Altro imputato è la tv. Questa la drammatica denuncia della «Settimana del Clero»: «Quando parliamo della moralità della tv non intendiamo riferirci solo alla sovrabbondanza delle scollature delle annunciatrici e delle relative vallette. Certi amplessi, con annessi sottintesi che anche i più ingenui non tardano a cogliere, ben poche famiglie italiane, anche quelle di manica larga, li permetterebbero nell’intimità delle pareti domestiche. L’immoralità non è solo nelle cianche [espressione scherzosa per denominare «gambe brutte», ndr] e nelle scapole delle ballerine folleggianti. Si esamini la produzione teatrale e cinematografica. All’infuori dell’amore sessuale non c’è altro da ammannire agli italiani dal teleschermo? Come non bastasse, la tv si premura di ammannire alle famiglie italiane tutta la mota che confluisce alle patrie galere e alle patrie questure. Il giovane che si affaccia alla vita, ricco di sogni e di ideali, che cosa dovrà dire e pensare di simile lordura?»  (16-3-1960).

Fortunatamente c’erano ancora persone serie. Una ragazza scrive a Specchio dei tempi presentandosi come «capricciosa, viziata, pigra e ineducata»; ma sta correggendosi grazie alle sadiche punizioni corporali inflittele dal suo patrigno: «Ho quasi sedici anni, frequento la prima liceo, ho un aspetto tutt’altro che infantile: tuttavia vengo ancora castigata nello stesso modo. Devo riconoscere però che la paura di meritare il castigo mi induce ad evitare il più possibile le cause che possono provocarlo. Ciò mi ha molto migliorata di carattere, studio con maggiore diligenza e, vincendo la mia naturale pigrizia, mi prodigo ad aiutare la mamma nelle faccende domestiche senza capriccio o scuse inconsistenti»  (5-2-1961). 

Dario Oitana


 
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