TEODICEA (8)
Si forma una Ferrari per caso?

Ribadendo il titolo del precedente articolo (cfr il foglio 289), la nostra è un’ipotesi copernicana, nel senso che porta alle sue estreme e ultime conseguenze la rivoluzione operata e avviata da Copernico: ossia non c’è più alcuna influenza meccanico-energetica della sfera divina su quella celeste, né di quest’ultima su quella terrestre. Così invece era nel Medio Evo (il cosmo di Dante ne è l’esempio emblematico), dove si ha una sintesi fra cosmologia platonico-aristotelico-tolemaica e cosmologia biblica: il cielo delle stelle fisse è chiamato anche «firmamento» (da Gn 1), e il primo mobile di Tolomeo è denominato anche cielo «cristallino» (spiegato da alcuni teologi come acqua congelata) o acqueo, per incamerare le “acque superiori” sempre dal racconto sacerdotale. Le stelle sono poi interpretate come fori attraverso cui passano tali acque. Nella sfera più esterna è situato quindi l’empireo («il cielo di luce infuocata») di provenienza neo-platonica. Si capisce così ancor meglio l’imbarazzo suscitato da Copernico nel mettere a soqquadro questa superba sintesi di tutto il pensiero antico. Naturalmente non si trattava di una concezione né meccanica né molecolare in senso moderno, ma di una attrazione amorosa (spesso mediata dalla “spinta” dei cori angelici sui pianeti); ad es. nella Commedia «l’amor che move il sole e l’altre stelle» non è solo una splendida metafora per indicare Dio, ma si pensava che fosse effettivamente l’amore (con le sue componenti attrattive) a muovere il cielo stellato.

La creazione biblica.

Bisogna anzitutto eliminare il creazionismo (in biologia) salvaguardando in particolare la creazione nel suo senso originario biblico, che non è assolutamente il creare dal “nulla”, una posteriore visuale filosofica, del tutto legittima, frutto della teologia cristiana. Creare per la Bibbia significa l’azione “personale e intenzionale” di Dio nell’innescare la costituzione del cosmo; il che rende possibile la lode del creatore. In tutto l’ambiente dell’antico Oriente, presso i popoli vicini a Israele, i modi del processo creativo sono fondamentalmente quattro:

a) miti d’”origine”, che raccontano di una serie di nascite (teogonie e cosmogonie): nella Bibbia ne è rimasto un cenno in Gn 1,24 («La terra produca esseri viventi secondo la loro specie»), in Gn 2,4a («Queste sono le toledoth del cielo e della terra», ossia le generazioni, le genealogie del cielo e della terra), e nel salmo 139,15 («Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra»);

b) creazione sulla base di una lotta, in genere contro il caos, e conseguente vittoria (un pallido e lontanissimo riflesso l’abbiamo in Gn 1,2 nella terra informe e nelle tenebre che ricoprono l’abisso; la luce vince il caos, l’informità e le tenebre). Ma soprattutto questa risonanza è da vedere immediatamente nel salmo 89,10-15 (contro il mostro Raab), nel salmo 74,12-17 (contro i mostri marini, in particolare il Leviatàn), e in Is 51,9: «Destati, Signore, destati come nei giorni primi delle generazioni di un tempo! Non sei forse tu che hai fatto a pezzi Raab e tagliato in due il Drago?». M. Eliade sostiene che dietro al motivo della lotta (contro il drago, o il mostro marino, oppure di Marduk contro Tiamat nell’Enuma elis) è sempre contenuta in modo più o meno esplicito l’idea di creazione. Alla base di tali miti sta l’esperienza della lotta tra giorno e notte: il sole, tramontando nel mare, viene ingoiato dal mostro marino (drago, o serpente); inizia la lotta e alla fine il mostro è vinto e vomita il sole per una nuova levata;

c) creazione mediante un fare, un formare, un ultimare (il racconto jahwista di Gn 2,4b ss., il mito dell’uomo fatto dalla terra/argilla);

d) creazione attraverso la parola (il racconto sacerdotale di Gn 1).

Se per creazione intendiamo l’atto personale della divinità, allora “creazione” in senso stretto lo sono solo le ultime tre (b, c, d), mentre nella meccanica serie di nascite dei miti d’origine (a) non traspare l’elemento intenzionale. Occorre però essere cauti con le valutazioni: col dire ad es. che la creazione costituisca un livello più alto o culturalmente più elevato rispetto ai miti d’origine, perché la teoria moderna dell’evoluzione, se proprio vogliamo, appartiene di nuovo al discorso d’origine. Volendo tuttavia conservare questo dato centrale e costitutivo della tradizione biblica, relativo all’atto personale di Dio, definiamo quindi la creazione non solo come offerta di senso, ma anche e soprattutto come dono intenzionale della vita e dell’essere, ossia come il dono della temporalità informatizzata. Questo dono si può certamente considerare come coestensivo a tutta la storia del cosmo, alla storia complessiva della materia, all’intera storia dell’uomo. Ciò non toglie che tale dono abbia avuto anche un’origine e un inizio, che può essere considerato come assoluto e quindi invariante rispetto a qualsiasi sistema di riferimento spazio-temporale; anzi tale inizio è proprio ciò che instaura l’anteriorità originaria, a partire dalla quale si snodano tutte le sequenze temporali possibili. L’inizio è comunque da dislocare prima del “big bang”, addirittura prima delle fluttuazioni quantistiche del (falso) vuoto virtuale: un inizio/origine di pura curvatura, la pura geometria dello spazio-tempo suscettibile di acquisire sempre più informazione.

Il 2° principio della complessità.

Un’altra delle condizioni affinché tutto il nostro impianto si regga, relativo soprattutto al non-intervento di Dio nel decorso naturale-storico del cosmo, è l’esistenza del 2° principio della complessità. È stato definito 2° principio (o legge) della complessità non perché ne esista un primo, ma per fare da contraltare al secondo principio della termodinamica. Poiché esiste un secondo principio della termodinamica con il suo aumento di entropia e tendenza al disordine, per quale motivo non potrebbe esistere un principio della complessità, analogo e complementare, con la sua sintropia (l’inverso dell’entropia) e tendenza all’ordine? Certo, mentre il secondo principio della termodinamica ha validità praticamente universale, il secondo principio della complessità ha un ambito decisamente molto più ristretto: richiede un flusso continuo di energia, agisce praticamente solo nell’intervallo di temperatura da +100° a –100°, e necessita di acqua allo stato liquido (rara nell’universo) ecc.

L’ordine può quindi esistere “solo localmente” (ad es. nella biosfera terrestre) in un universo dominato dal secondo principio della termodinamica. Così la prima apparizione del principio costruttivo, la prima auto-organizzazione della materia in vista della vita, significa l’irruzione dell’essere nell’illimitata gamma delle sue possibilità; piuttosto che uno stato dato, esso è divenuto una possibilità costantemente offerta («Più in alto della realtà si trova la possibilità», Heidegger, Essere e tempo). In tal modo, con la complessità e l’auto-organizzazione, la natura partecipa dell’io (come sostenevano gli idealisti, in particolare Schelling), anche se ovviamente in modo non cosciente; viene così decisamente superata la spaccatura “cartesiana” fra la res cogitans («sostanza pensante», che in Cartesio è solo nell’uomo in quanto unico titolare di tutte le caratteristiche mentali) e la res extensa («sostanza o cosa estesa»), ridotta a una roccia priva di qualsiasi elemento che possa avere il lontano sentore della direzionalità mirata. Il cartesianesimo limitò il luogo dell’interiorità nella natura al caso isolato dell’uomo (mentre le due sostanze di Cartesio si incontrano in tutti gli organismi viventi, e non solo in uno): infatti uno degli aspetti filosofici più importanti del darwinismo è che si può (e forse anche si deve) unificare «vita» e «riconoscimento» (elemento centrale della più ampia «informazione»). La vita è riconoscimento, per lo più non cosciente; ad es. il «riconoscimento operativo» della pianta che, tramite le radici, seleziona le sostanze da assorbire (abbiamo poi il «riconoscimento percettivo» nell’animale, e quello cosciente nell’uomo). L’avvento del codice genetico (quando prima non c’era assolutamente nulla che lo lasciasse presagire neppur lontanamente) è la prova più evidente e schiacciante della progressiva complessità e in-formatizzazione, del cammino della materia vivente in direzione di una sempre maggiore complicatezza e strutturazione. Il Dna è una memoria e un linguaggio (anche se non coscienti); il Dna contiene programmi e, tramite anche l’Rna, computa ed esercita azioni mirate: ha quindi una logica, anche se non cosciente. È superfluo sottolineare che tutto ciò ha avuto luogo miliardi di anni prima dell’avvento dell’uomo.

Non solo dadi.

Tutto questo non si è formato “solo” per un puro caso stocastico, in un millenario lancio di dadi (senza nulla togliere all’importanza del caso, della probabilità e della successiva selezione naturale): chi vede solo il caso e la necessità/selezione non si rende conto di essere precipitato in balia del realismo filosofico che, nell’interpretazione di Heidegger, si oppone all’idealismo suddetto. L’opposizione di idealismo e realismo è un’opposizione ontologico-metafisica, in quanto concerne il modo di interpretare l’Essere in generale. L’idealismo interpreta l’Essere dell’ente secondo i caratteri dell’io, della libertà; il realismo lo interpreta come privo di io, in termini di costrizione, meccanicamente, come una roccia. Per l’uno la «sostanza» è «egoica», per l’altro essa è priva di io, una mera «cosa». L’opposizione fra realismo e idealismo tedesco non riguarda per nulla la questione gnoseologica dell’esistenza o meno del mondo esterno (e della sua conoscibilità).

Col presupposto quindi del realismo in campo ontologico, secondo il quale l’essere o la natura non sono in grado, con le sole loro forze, di puntare verso la complessità, l’evoluzione può essere frutto solo del caso e della selezione naturale. Il che equivale a dire, rimuovendo del tutto lo stupore dello stesso Darwin per la meravigliosa costruzione e organizzazione dell’occhio umano, che in un hangar con tutti i materiali sparsi qua e là, grazie a un tornado di durata millenaria, si forma come per incanto un aereo 747 o una Ferrari di Formula Uno; dimenticando che un organismo vivente è di gran lunga immensamente più complicato di un Boeing, anzi già una semplice cellula eucariota è più complessa di qualsiasi tecnologia umana. Oppure, sempre col realismo alle spalle (naturalmente inconscio e ingenuamente non riflesso), abbiamo i fondamentalisti che, con tutte le loro variabili, si oppongono al caso e alla selezione: o il creazionismo biologico secondo cui Dio ha creato direttamente il sole, la terra e tutte le specie; oppure il processo evolutivo è stato pilotato, teleguidato, etero-diretto dall’alto, o in toto o anche solo nei suoi salti fondamentali: origine della vita cellulare, della vita vegetale/animale, origine dell’uomo. Oppure la cosiddetta causalità trascendentale divina si sarebbe espressa solo nell’ominizzazione in quanto passaggio dai primati (scimmie) all’homo sapiens; o anche, in modo ancor più ristretto, solamente nella creazione delle singole anime umane (creazionismo filosofico).

Mauro Pedrazzoli

(continua)


 
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