AFGHANISTAN
Guerra è pace

Uno dei drammi di questa guerra (temo di tutte le guerre), per quanto mi riguarda, è che ho la netta sensazione che ci sia qualcuno sopra di noi che fa i suoi conti e sghignazza. Non penso sia Dio, perché Dio non sghignazza, ma sorride, o piange. Non ho nessuna informazione diretta per giudicare o verificare ciò che si scrive. Ma chi ce l’ha? Chi può verificare come sono distribuiti i pezzi dell’ultimo aereo caduto senza colpire l’obiettivo? Chi può accedere alle scatole nere? Dipendiamo, in ultima analisi, dalle autorità americane. E io lo confesso: non mi fido (ricorre, tra l’altro, di questi tempi, l’anniversario del Cermis e il mio pacifico sangue trentino a dir poco ribolle).

Ma più in generale: tutti i canali mediatici principali sono tendenzialmente concordi nel presentarci un tipo di guerra che è intervento necessario, libertà duratura, giustizia infinita, bombardamento chirurgico, operazione di polizia internazionale, reazione al terrorismo, liberazione dei poveri afghani dal regime talebano, persino aiuto umanitario. Semplicemente non lo credo: ci stanno prendendo per il culo. Non ci credo come non credo alla riforma della giustizia di Berlusconi, con la stessa identica certezza. Una certezza carica di infinita indignazione: quell’indignazione che si prova di fronte all’evidenza più beata e smaccata dell’ingiustizia. Bush è un petroliere, innanzitutto. Poi è americano, e questo aggrava ulteriormente la situazione. Le recenti porcherie compiute dai tanti Bush (peraltro amici e soci in affari dei petrolieri sauditi Laden, tempo fa) e dagli americani negli ultimi due secoli, con un progressivo addensamento verso il presente, sono un compito immane per gli storici del futuro. Io non ne so quanto vorrei, ma quanto basta per non credere a ciò che ci fanno intendere. Perché la fonte delle principali fonti di informazione è controllata da “loro” (che non sono solo americani, ovviamente), ovvero da coloro che non hanno come scopo l’informazione e la verità, ma la giustificazione di un’operazione i cui scopi principali sono evidentemente taciuti. Non so esattamente quale sia la verità, ma sono certo che si trovi molto in profondità sotto la crosta mediatica, a profondità petrolifere. «In America – scrive Arundhati Roy – l’industria delle armi, l’industria del petrolio, le grandi catene mediatiche e, di fatto, l’intera politica estera statunitense, sono tutte controllate dagli stessi colossi economici. Sarebbe sciocco, quindi, aspettarsi che questo discorso di armi, petrolio e affari legati alla difesa abbia una vera risonanza sui media».

Soprattutto, non voglio rassegnarmi al fatto che con le loro risposte mi rendano angusto lo spazio per pensare le domande. Qui ci stanno letteralmente facendo su con un disegno tanto più arrogante quanto più incoerente. Sì, incoerente, ma ripetuto e ostinato: tutti ne parlano e la ripetizione crea un contesto di omogeneità, che non è coerenza, ma convince. Le conferme incrociate si sostengono a vicenda; non importa, poi, se tutte arrivano dalle medesime fonti. In fondo, per fare un solo esempio, non siamo tutti convinti che a Kabul si stia finalmente un po’ meglio? Ma insomma: non dimenticherò mai quel servizio di un tg della Rai in cui si festeggiava l’entrata a Kabul dei salvatori dell’alleanza del Nord (allora eroi e benefattori, oggi già un po’ meno, vista l’ingovernabilità delle fazioni e la scarsa propensione di questi loschi personaggi a sottostare agli interessi occidentali), ebbene: allora si diceva che finalmente la vita era tornata nelle strade di quella triste città, le radio tornavano a trasmettere musica, gli uomini si tagliavano la barba e le donne si toglievano il burqa, e, mentre si diceva questo, si vedeva che le donne avevano tutte il loro burqa. A proposito di coerenza e credibilità! Se non è propaganda questa... Perché nessuno diceva che quelli del Nord non erano meglio di quelli del Sud, se non perché erano temporaneamente alleati dei buoni? E un tempo non erano buoni anche i talebani? ...tanto da sovvenzionarli, sostenerli coi dollari e scavar loro le Tore Bore? A quei tempi, evidentemente, il God in cui we trust non si faceva scrupoli a stare dalla parte dei più duri fedeli di Allah.

Propaganda! Ripensiamo a 1984 di Orwell: fare una cosa e martellare propagandisticamente dicendo che si sta facendo esattamente il contrario... a forza di sentirlo ci si convince, e si è anche contenti! Confondere le menti, violentando al contempo linguaggio e pensiero, equamente però: dal senso comune al principio di non contraddizione. E quello schermo continua a ripetere che «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza». Come le odierne anglo-nazioni, «pacifiche e amanti della pace», che, in fondo, non stanno facendo un oltraggio alla pace, ma del bene. O questo mediatico inarrestabile innalzamento delle pensioni minime... boh... intanto io sento dire da mia nonna che sta prendendo 30 euro meno di prima. Sarà lei che è rimasta indietro.

Ci dev’essere un limite allo scandalo di chi rivolta la frittata. Sarà anche difficile, per l’uomo onesto e consapevole, dire in positivo che cosa è veramente «pace». Non basta certo, in negativo, l’assenza di guerra, ma possiamo almeno concordare sul fatto che la pace non vive laddove si spara? In proposito, con una posizione dichiaratamente contraria alla propaganda americana, consiglio il nuovo libro di Arundhati Roy, giovane scrittrice indiana. Il titolo evoca grandi classici e polemicamente suona: Guerra è pace.

Claudio Belloni


 
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